di Piero Ricca “Caro Beppe e cari Amici del Blog, Tutto chiaro? Se dai una indicazione, bene. Se non la dai, per l’ottanta per cento finanzi a tua insaputa la Chiesa cattolica, la quale peraltro utilizza queste risorse solo in piccola parte per le opere di solidarietà suggestivamente illustrate nelle pubblicità. – Opacità e assenza di controlli e rendicontazioni sull’utilizzo dei fondi Colpisce nell’analisi della Corte dei Conti il ruolo dello Stato, che in buona sostanza fa il palo, il garante, “l’apparente contrappeso” dei privilegi concessi alla Chiesa. Infatti: non pubblicizza il suo Otto per mille, non rendiconta le destinazioni, attinge da quei fondi per finalità improprie e talvolta antitetiche allo spirito dichiarato dell’Otto per mille (in passato ci si è serviti di quei soldi anche per finanziare missioni militari all’estero o per tappare buchi di bilancio), rinuncia ad attivare le pur previste procedure di revisione di un sistema ormai troppo gravoso per le casse pubbliche, finge di non vedere che la parte preponderante del finanziamento deriva dalle quote inespresse.
è tornato alla ribalta delle cronache in questi giorni il deficit di trasparenza (chiamiamolo pudicamente così) dei vertici della Chiesa cattolica nella gestione delle ingenti risorse economiche che le vengono donate dai fedeli.
Forse è il momento buono per una rinnovata riflessione sul sistema dell’Otto per mille, un meccanismo di finanziamento alle confessioni religiose opaco e distorto che, nel silenzio complice dei governi e sopra la testa dei cittadini, frutta alla Chiesa cattolica oltre un miliardo di euro l’anno.
Un caso di scuola di disonestà intrinseca alla legge.
In singolare coincidenza con gli ultimi bollettini di Vatileaks, a ribadire la necessità di rivedere il meccanismo è intervenuto agli inizi di novembre un soggetto non proprio sospettabile di anticlericalismo come la Corte dei Conti, che già si era espressa più volte sul tema, con rilievi critici particolarmente duri, riassunti in questo comunicato.
La Grande Abbuffata dell’Otto per mille viene apparecchiata a metà anni Ottanta con la revisione del Concordato fra Stato e Chiesa, ed entra in vigore nei primi anni Novanta. Da allora la torta si fa ogni anno più grande, mai sfiorata dalla lama delle spending review. Oggi vale oltre 1,2 miliardi di euro l’anno. Circa l’80% di questi soldi va puntualmente, per il tramite della Cei, alla Chiesa cattolica, la quale però è indicata come destinataria del contributo sull’Irpef solo da una minoranza dei contribuenti. Com’è possibile questo miracolo? Grazie a un diabolico cavillo.
Proviamo a spiegarlo. I contribuenti che non esprimono alcuna indicazione versano comunque la loro quota, che non va allo Stato, come verrebbe naturale immaginare, ma viene ripartita in modo proporzionale alle varie confessioni religiose e allo Stato sulla base delle scelte espresse. Secondo gli ultimi dati disponibili, relativi al 2011, per esempio, solo il 46 per cento dei contribuenti italiani hanno espresso una scelta nella dichiarazione dei redditi. E solo il 37 per cento ha assegnato la preferenza alla Chiesa cattolica. Ma l’82 per cento dei fondi del gettito totale Otto per mille è finito comunque alla Chiesa cattolica, in quanto soggetto largamente più gettonato dalla minoranza che sceglie.
Secondo una stima del settimanale l’Espresso, negli ultimi quindici anni solo il sistema della ripartizione delle quote inespresse è valso alla Chiesa cattolica qualcosa come 10 miliardi di euro.
A onore del vero, non tutte le confessioni religiose ammesse all’intesa con lo Stato (attualmente sono undici) si comportano allo stesso modo, per esempio i Valdesi impiegano i fondi dei contribuenti solo per progetti di solidarietà. Altri rinunciano alla quota inespressa. Ma i punti oscuri dell’Otto per mille, contestati dai giudici contabili, sono numerosi. Eccone alcuni:
– Disinteresse e malagestione da parte dello Stato per quanto attiene la quota di sua competenza
– Esclusione di alcune confessioni religiose non ammesse all’intesa con lo Stato
– Carenza di controlli sull’operato degli intermediari delle dichiarazioni dei redditi
– Eccessivo incremento delle quote rispetto a congiuntura economica e reali esigenze dei destinatari
– Pubblicità spesso ingannevole, che dirotta risorse verso fini impropri
Insomma, “in un periodo di generalizzata riduzione delle spese sociali” è vigente da molti anni – osserva la Corte – una procedura “opaca, senza controlli, senza informazioni per i cittadini, discriminante dal punto di vista della pluralità religiosa, sempre più gravosa per l’Erario, che ha rafforzato enormemente il peso economico della Chiesa cattolica”.
Il monito della Corte dei Conti appare destinato a cadere ancora una volta nel vuoto, com’è rimasto senza esito il lungo impegno dei Radicali e di altri movimenti di opinione d’impronta laica che nel corso degli anni hanno provato a cambiare questo meccanismo. All’interno dell’attuale sistema di potere, è prevedibile che nessun governo si prenderà la briga di urtare su un tema così delicato la sensibilità delle gerarchie ecclesiali.
Ma le cose possono cambiare. E non è detto che l’attuale sistema di potere duri ancora a lungo.
Quando – e se – avremo in Italia un governo non più succube del Vaticano, tra le riforme da realizzare senza indugi dovrebbe esserci anche questa.
L’obiettivo minimo sarà immettere trasparenza ed equità nel meccanismo della contribuzione volontaria: ai culti religiosi devono andare, rigorosamente registrati e rendicontati, solo i contributi di chi, al momento della dichiarazione dei redditi, indica una precisa preferenza. E’ il modello spagnolo.
Ma c’è un’altra possibile soluzione: abolire in toto il meccanismo dell’Otto per mille, perché ogni organizzazione religiosa deve sostenersi con le donazioni dirette e spontanee dei propri fedeli, senza discriminazioni e senza oneri per la collettività. Così avviene per esempio in Francia e Gran Bretagna.
Io propendo per questa seconda ipotesi. Voi che ne dite?”