Dieci domande sulla Gran Bretagna e la Brexit, sul prossimo referendum che sancirà un cambiamento nell’assetto istituzionale europeo e sul carattere politico di questa scelta.
Facciamo un po’ di chiarezza, buona lettura!
1) Che cos’è la Brexit?
“La Brexit rappresenta la possibile uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, che attualmente conta di 28 Stati membri. Il Regno Unito non fa invece parte dell’Eurozona, costituita dai 19 Paesi che adottano l’Euro come moneta unica”.
2) Che cosa voteranno i cittadini britannici e quando?
“I cittadini del Regno Unito saranno chiamati alle urne giovedì 23 giugno a votare la permanenza o meno della Gran Bretagna nell’Unione Europea con un voto secco: “Remain” per rimanere, “Leave” per uscire. Non saranno posti altri quesiti, eccetto questo: “Should the United Kingdom remain a member of the European Union or leave the European Union?”. La risposta sarà una “X” su: “Remain a member of the European Union” oppure “Leave the European Union”.
3) Se vince l’uscita, cosa succede?
“In caso di Brexit gli scenari sono molto difficili da ipotizzare. Gli orizzonti dipinti dai media, dai rappresentanti delle multinazionali e da molte istituzioni finanziarie che hanno interessi specifici sono catastrofici. L’hanno chiamato “Project Fear”, la strategia comunicativa di chi sostiene il “Remain” volta a impaurire gli elettori su ipotetici eventi catastrofici in caso di uscita. La realtà è ben diversa e più complessa: di certo il Regno Unito e gli altri Paesi dell’UE avranno interesse assoluto a rinegoziare accordi bilaterali nelle materie di interesse comune attualmente in vigore. Il Regno Unito si libererebbe al contempo di numerosi vincoli dell’UE in ambito di welfare, immigrazione, governance economica e finanziaria”.
4) Se vince la permanenza, cosa succede?
“Il Regno Unito continuerebbe a fare parte dei 28 Paesi dell’UE. Il fatto rilevante è che il Governo di Cameron ha già negoziato nei mesi scorsi con Bruxelles alcune condizioni che garantirebbero una sorta di “Statuto Speciale” al Regno Unito nell’UE. Quest’ultime non riguarderebbero solo la conferma della non adozione dell’Euro, ma toccherebbero anche altri punti sensibili come – appunto – welfare, immigrazione, governace economica e finanziaria”.
5) Perché i britannici sono in UE ma non hanno l’Euro?
“Il Regno Unito utilizza la sterlina come moneta e non ha mai avuto alcuna intenzione di adottare l’Euro. Gli inglesi (assieme alla Danimarca) furono abili a negoziare nel Trattato di Maastricht una clausola di opt-out relativamente proprio alla valuta. Dunque, a Gran Bretagna e Danimarca non è legalmente richiesto in futuro di adottare l’Euro, a meno che non siano loro stessi a farne richiesta”.
6) Perché l’UE è interessata a questo voto?
“Il referendum nel Regno Unito avrà in ogni caso delle ripercussioni sulla futura evoluzione dell’assetto istituzionale europeo. Le proposte di maggior autonomia che il governo britannico ha chiesto a Bruxelles – in modo da potersi schierare apertamente per voler rimanere in UE al referendum – saranno il Cavallo di Troia per creare un’UE a due blocchi. La richiesta di Cameron (non osteggiata dalla Merkel) porterà ad una “super-UE” a guida tedesca chiusa nel fortino dell’Euro e delle politiche di bilancio basate sull’austerità, con gli Stati partecipanti costretti a cedere ancora più sovranità a un nuovo ministro delle finanze unico e a un bilancio unico per l’Eurozona. Dall’altro lato si avrà una “semi-UE” più blanda, dove ciascun Stato conserverà le proprie peculiarità e manterrà la sovranità sui temi più importanti (welfare, immigrazione, governace economica e finanziaria), garantendosi tuttavia i vantaggi della partecipazione al mercato unico”.
7) Perché l’Italia è interessata a questo voto?
“Gli altri Stati membri, in particolare quelli del Mediterraneo – Italia in testa -, dovrebbero avanzare pretese simili all’UE. Il tutto per garantire le specificità di ogni nazione e per preservare il proprio tessuto socioeconomico e industriale. Qualunque sia l’esito del referendum, la situazione nel Regno Unito e le difficoltà di molti altri Paesi europei confermano il totale fallimento dell’attuale sistema di governance europeo basato sul modello del “one-size-fits-all”, incapace di rispondere a molte sfide e criticità”.
8) Il voto del referendum sarà vincolante per il Governo britannico?
“No. Il referendum non ha quorum, è di tipo consultivo e non è legalmente vincolante. In linea del tutto teorica, se vincesse il “Leave”, il Parlamento britannico potrebbe comunque intervenire per approvare una legge che impedisca l’uscita dall’Unione Europea. Ma andare contro la volontà degli elettori sarebbe un suicidio politico. Ma i tecnocrati di Bruxelles hanno dimostrato nel tempo di essere bravi a sovvertire nell’ombra la volontà espressa dai cittadini”.
9) Chi c’è al Governo in Inghilterra e perché ha voluto indire il referendum?
“David Cameron è il Primo Ministro del Regno Unito. Alle recenti elezioni la sua riconferma è stata messa in pericolo dal montante sentimento euroscettico dei britannici alimentato sempre più dai fallimenti dell’UE. Per garantirsi la rielezione ha quindi promesso, in caso di vittoria, un referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’UE. Una volta vinto, ha furbescamente negoziato un pacchetto con la Merkel e l’UE per permettergli di schierarsi per il “Remain” con qualcosa di concreto in mano. Ha giocato col “sentiment” diffuso e con la pancia dei cittadini e sta facendo di tutto per legittimare una propaganda contraria al “SI”. Un vero paradosso”.
10) L’Italia dovrebbe indire un referendum simile?
“In Italia non si tiene un referendum sull’Europa dal 1989, ed i cittadini dovrebbero poter esprimere la loro opinione, senza dover sempre subire decisioni calate dall’alto. In ogni caso il Governo italiano dovrebbe negoziare con Bruxelles condizioni favorevoli alla sua permanenza in UE su una molteplicità di fattori che attualmente premiano solo ed esclusivamente i Paesi del Nord Europa. Ovviamente questo sarà possibile una volta che il nostro Paese si sarà liberato dal cappio della moneta unica che, in quanto Paese debitore, lo mette in condizioni svantaggiare in un processo di negoziazione. Il rischio di fare la fine di Tsipras sarebbe altissimo”.