di Fulvio Scaglione*
Andrej Gennadovich Karlov, 62 anni, non era un ambasciatore qualunque. Era una diplomatico della vecchia scuola, cresciuto ai tempi dell’Urss e temprato da incarichi “tosti” come i dieci anni trascorsi in Corea, prima quella del Sud e poi quella del Nord. Karlov rappresentava la Federazione russa in Turchia da tre anni e aveva gestito i momenti di crisi (l’abbattimento del caccia russo nel novembre 2015) come la clamorosa riappacificazione tra i due Paesi. Ma nemmeno Mert Altintas, 22 anni, l’uomo che l’ha ucciso sparandogli alla schiena a una mostra d’arte ad Amkara, era un assassino qualunque: diplomato nel 2014 all’accademia di polizia di Smirne, era membro delle squadre turche antisommossa.
I media turchi sostengono che Altintas fosse stato rimosso dall’incarico nella grande “purga” seguita al fallito colpo di Stato contro Erdogan del luglio di quest’anno. E quelli russi aggiungono che proprio per questo aveva presentato documenti falsi per entrare alla mostra. Il che contrasta con quanto invece sostengono altre fonti d’informazione, e cioè che proprio il tesserino della polizia abbia consentito al killer di avvicinare l’ambasciatore che avrebbe ucciso.
Proprio il giorno dopo il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, avrebbe dovuto sbarcare a Mosca per una serie di colloqui, dopo che analoghi incontri avevano portato in Russia prima il presidente Erdogan e poi il premier Binali Yildirim. Può anche essere una coincidenza. Se lo è, il valore simbolico è comunque forte. Il terrorista ha sparato accompagnandosi con le grida diventate di prammatica in questi casi, come Allah u akbar” (Allah è il più grande). E ha aggiunto una serie di invettive contro il ruolo sostenuto dalla Russia in Siria e in particolare ad Aleppo. E anche in questo caso l’attentato è arrivato con straordinaria puntualità, poche ore dopo che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha trovato un accordo per inviare nella città martire un gruppo di osservatori per “per consentire il monitoraggio da parte delle Nazioni Unite sul benessere dei civili nei quartieri orientali della città di Aleppo” ma “in coordinamento con tutte le parti interessate”, quindi anche con il Governo di Bashar al-Assad.
Le indagini chiariranno i particolari ancora confusi. E soprattutto diranno se Altintas era stato arruolato da qualche organizzazione dell’estremismo islamico oppure se ha colpito da lupo solitario, come ora si usa dire. Comunque sia, l’obiettivo politico di questo attentato è chiaro: interrompere il riavvicinamento tra la Turchia di Recep Erdogan e la Russia di Vladimir Putin. È stato proprio questo riavvicinamento, completatosi dopo il golpe di luglio contro Erdogan che, secondo molte voci, i russi avrebbero contribuito a sventare, a favorire la svolta di Aleppo, ormai interamente riconquistata dalle truppe fedeli ad Assad aiutate dall’aviazione russa.
Questa svolta militare non avrebbe potuto realizzarsi se la Turchia non avesse chiuso i canali di rifornimento (di combattenti, armi, soldi) che per anni aveva aperto a ribelli e jihadisti assortiti. E porta con sé un profondo significato politico. Vuol dire che nel prossimo futuro una Siria di Assad continuerà a esistere e a essere un interlocutore ineludibile. Realtà che Erdogan non può non aver soppesato prima di trovare l’intesa con la Russia.
Questa intesa, incarnata dall’ambasciatore Karlov, è entrata nel mirino di Altintas. E dalla reazione di Erdogan e di Putin si capiranno molte cose. Per esempio, chi loro giudichino il vero mandante di questo assassinio che, paradossalmente ma non tanto, potrebbe infine rafforzare i legami, e la sensazione di un interesse comune di fronte a nemici potenti, tra Ankara e Mosca.
Intanto, subito dopo l’attentato, sono partiti i messaggi di solidarietà delle cancellerie occidentali. Prima vittima, il dizionario dei sinonimi e contrari, perché tutti i messaggi erano pieni di acrobazie verbali pur di evitare il termine “terrorismo”. Ma se il pazzo che spara in una discoteca per gay negli Usa è un terrorista e un poliziotto che ammazza un ambasciatore in Turchia non lo è, vuol proprio dire che qualcuno, dalle nostre parti, ha perso di vista la realtà.
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