di Beppe Grillo Il giorno prima dell’ultimo grande Flash Mob Globale, il G8 a Genova, ero a Pegli con Gino Paoli: un bancomat finto, una macchina da demolire e Gino con una tuta bianca e una mazza che lo sfasciava, mentre dal palco io cantavo “senza fine”.
Il consiglio che davo a tutti era di stare alla larga dal G8, sarebbe stato pericoloso, ed è stato inutilmente terribile. L’ultimo Flash Mob Globale, ma non perché fa rima con no-global, Il G8 del 2001 fu l’ultimo fenomeno “spontaneo” di massa che prevedesse il futuro prossimo in cui erano rappresentati tutti. C’erano i cittadini in ogni ruolo, dalla persona consapevole del fatto che il mondo era in mano alla finanza sino agli uomini neri che picchiano tutti. C’erano tutte le forze di polizia e c’era un governo succube del potere finanziario che, come tutti i deboli con un posto di responsabilità, prese ad avere atteggiamenti fascistoidi (oggi, rimborsando 6 persone con una mancetta, il governo ha preteso l’oblio ed il perdono). C’erano le persone che facevano difficoltà a capire il senso dell’antagonismo nei confronti della globalizzazione e, soprattutto, c’era la rappresentazione di come sarebbe diventato il mondo da li a breve. Si inscenò tragicamente il futuro: una città compartimentata come se non fosse più di tutti i cittadini: zone rosse e tantissime zone grige. C’era la ricerca dello scontro a tutti i costi e le decisioni fondate sui pretesti che oggi appaiono le uniche possibili. Come se “cui prodest” significasse “a chi prude?” oppure “qui mi prude” mentre significa, da sempre: quando non stai riuscendo a capire perché si sta verificando un fatto chiediti a chi giova, chi ne trae vantaggio?
Genova si riempì di pretesti per tutto, per la violenza, per continuare così con la legittimazione degli uomini neri che compaiono, fanno male, e poi scompaiono. Molotov che apparivano dentro scuole usate come dormitorio, una puzza fortissima di tempi cupi in arrivo che faceva sentire tutti legittimati a tutto. Lo stesso avere organizzato una cosa del genere a Genova, dove quasi si perde chi ci vive, al limite fra i vicoletti e piazze enormi, era come dare fuoco ad un flipper. Una “decisione” irresponsabile proprio mentre i responsabili erano li: così protetti dal popolo che millantavano di rappresentare da non poter neppure sapere che Genova aveva in scena il caos, oltre la zona rossa. Difficile pensare come sia la vita alla larga dalle proprie responsabilità.
Il G8 di Genova era una enorme macchina del tempo, pericolosa come soltanto una macchina del tempo può essere: quanto puoi andare nel futuro? Forse sarai già morto quel giorno che hai appena impostato.
Un mucchio di persone hanno agito come se stessero già vivendo nell’oggi ma all’improvviso, senza i graduali passaggi che ci hanno portato qui oggi. Non poteva che saltarne fuori una tragica ed inutile ultima legittimazione dei goverBanchi ed un ulteriore annichilimento della riflessione.
Futuro significa evitare gli scontri e continuare a riflettere, disegnarcelo il futuro, riappropriarcene senza violenza: non è nella nostra cultura e fornisce carburante alla reazione giustificando il corso attuale delle cose.
Adesso che il mondo è un grande G8 di Genova, pieno di “sicurezza da mantenere” contro uomini neri mai individuati, io penso: non interessa la responsabilità di quei fatti se pensiamo al destino del mondo, la responsabilità personale è il compito dei magistrati. Il nostro compito è ottenere che non succedano più fenomeni del genere, incidendo sul comportamento della finanza che depreda l’anima. Per questo i banchieri e le grandi aziende di investimento sono irritate con noi: pensavano che ci fossimo messi in piazza a dire una qualche versione del “si vergogni”.
Da allora siamo entrati nelle istituzioni ed abbiamo cominciato a lavorare per correggere l’orrenda concezione di società dei nostri nemici naturali: chi fa soldi dai soldi senza controllo morale e di stato.
Non è più tempo di manifestazioni in piazza a carattere provocatorio, facili a sfogare nella violenza, è diventato il tempo di disegnare il nostro futuro, per questo siamo qui.