di MoVimento 5 Stelle
Osservare, leggere e orientare il futuro, prevedendo in anticipo gli impatti dell’economia dei beni immateriali che si espande, dell’avanzamento tecnologico, della robotica, dell’informatizzazione sui processi produttivi di beni e servizi e sull’organizzazione del lavoro.
Mentre gli altri partiti si guardano l’ombelico, il MoVimento 5 Stelle scruta l’orizzonte e coinvolge i cittadini in una discussione sull’occupazione, sui rapporti sociali di produzione e sulla previdenza che ha visto oltre 210.000 preferenze espresse dagli iscritti certificati. Un fatto politico senza precedenti al mondo.
Giocare soltanto sulla regolazione dei contratti non può bastare a creare lavoro nelle economie mature. Serve una rivoluzione copernicana che rovesci il paradigma produttivo, servono investimenti forti nei settori realmente produttivi, serve un nuovo approccio culturale al consumo. Tuttavia, le leve normative, fiscali e contributive possono aiutare, incoraggiare o scoraggiare determinate pratiche e scelte strategiche di chi produce e crea lavoro.
Abbiamo aperto una riflessione importante, epocale sull’orario di lavoro e sulle 40 ore settimanali. Bisogna uscire da un equivoco: lavorare più ore non significa necessariamente essere più produttivi. Anzi. E’ la qualità dell’occupazione (da migliorare attraverso investimenti in ricerca, sviluppo e formazione continua) a far crescere la competitività del sistema e il valore aggiunto, ingredienti fondamentali per un’economia come quella italiana.
Piuttosto, a fronte di una prossima probabile riduzione complessiva dello stock di ore lavorate in ragione degli impatti della tecnologia, andrebbe incentivata una diversa distribuzione, più inclusiva, di questo stesso stock. I Paesi europei in cui si lavora meno sono quelli ricchi del Nord Europa. Un greco lavora il 50% in più di un tedesco, tanto per fare un esempio. I costi di avvio della riduzione degli orari di lavoro, sono in genere limitati per lo Stato. In Francia le 35 ore sono costate circa un miliardo l’anno, mentre in Italia stiamo spendendo, per la decontribuzione dei neoassunti con l’inutile “Jobs act”, almeno 18 miliardi in tre anni.
Cambia il rapporto tra tempi di vita e di lavoro, dunque è necessario rivedere anche il settore previdenziale. E’ evidente l’errore tecnico e culturale in cui incorrono i governi che insistono nell’alzare l’asticella dell’età anagrafica da raggiungere per il pensionamento (vedi il massacro della riforma Fornero): si pensa di rendere in questo modo sostenibile un sistema pensionistico che, in realtà, con il meccanismo cosiddetto “a ripartizione”, si regge in piedi soltanto se c’è lavoro di qualità per la popolazione attiva e congrui versamenti contributivi che servono a pagare le pensioni odierne (un sistema che costa circa 270 miliardi). Se i giovani non lavorano oggi, non possono mantenere i pensionati di oggi.
Bisogna quindi consentire ai lavoratori di scegliere con più libertà, entro certi limiti, la soglia anagrafica e di anzianità professionale da conseguire prima di accedere alla quiescenza. Magari, incentivando pure la staffetta generazionale come strumento di riduzione dell’orario del lavoratore vicino alla pensione, a fronte dell’assunzione di giovani, al fine di favorire l’occupazione giovanile e garantire un passaggio di conoscenze ed esperienze tra generazioni. Il MoVimento 5 Stelle vuole poi estendere le tutele previdenziali dei cosiddetti “usuranti” ad altri mestieri gravosi e garantire un accesso alla pensione agevolato ai cosiddetti “precoci”.
In questo scenario, i sindacati devono tornare a fare davvero gli interessi dei lavoratori. Sul fronte della rappresentanza nei luoghi di produzione, il MoVimento 5 Stelle vuole garantire a tutti i lavoratori il diritto di poter scegliere le proprie sigle e di essere eletti, con una competizione aperta tra tutte le organizzazioni, indipendentemente dall’aver firmato gli accordi con le controparti. Si tratta di applicare, finalmente, in modo compiuto l’articolo 39 della Costituzione sulla libera iniziativa sindacale. Stop poi a privilegi indebiti che rendono il sindacato schiavo di interessi diversi da quelli che dovrebbe istituzionalmente rappresentare. Dunque, basta a finanziamenti indiretti delle imprese, quote di servizio o fondi che derivano da enti bilaterali. Oppure, addirittura, sponsorizzazioni. Il sindacato deve vivere delle tessere sottoscritte dai lavoratori per essere libero di ottemperare alla propria missione. Inoltre, il dipendente e il pensionato devono essere liberi di disdire (o meno) una tessera che sia davvero rinnovabile: non devono più esistere adesioni che si perpetuano in eterno soltanto in base al principio del silenzio-assenso. Per di più, fin troppi ex sindacalisti hanno fatto carriera in Parlamento, nei partiti, al Governo o grazie a posti di potere nella gestione di grandi aziende: una commistione cui bisogna mettere fine. Il grande sindacato va insomma aiutato a sburocratizzarsi per tornare alla sua funzione essenziale: difendere i lavoratori.
Il MoVimento 5 Stelle favorirà infine il coinvolgimento dei lavoratori nell’elaborazione delle strategie, nell’organizzazione produttiva e, in generale, nei processi decisionali della loro impresa. Possono essere diversi gli strumenti di consultazione, co-decisione o comunque di disintermediazione: si può chiedere il loro parere diretto attraverso proposte e suggerimenti in qualche modo vincolanti per il management; è possibile prevedere “gruppi di miglioramento” su temi prettamente organizzativi; o ancora, in maniera più organica, si potrà valutare l’opzione di rappresentanze che entrano direttamente nel funzionamento dei consigli di amministrazione, di gestione o comunque di sorveglianza dell’impresa (Mit-Bestimmung o “cogestione” alla tedesca).
I quesiti votati e i temi toccati rientrano naturalmente in un lavoro più ampio che il MoVimento 5 Stelle sta portando avanti su lavoro, welfare, politiche attive e pensioni.
Il nostro programma è lo strumento con cui i cittadini stanno riprendendo il Paese nelle loro mani.
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