Salute e ambiente, strettamente legati tra loro, sono due facce di una stessa medaglia per garantire uno sviluppo sostenibile complessivo. Per raggiungere questa prospettiva discutiamo due proposte: a) condivisione dei dati sanitari e ambientali tra le agenzie con obiettivi condivisi e lavoro coordinato; b) integrare, eventualmente anche a livello strutturale, il Ministero della Salute e il Ministero dell’Ambiente
di Ivan Cavicchi, Docente di sociologia sanitaria e di filosofia della medicina, Facoltà di Medicina, Università Tor Vergata Roma
Nell’idea di sviluppo sostenibile sicuramente la salute ha un ruolo centrale. Per capire questo ruolo centrale, è necessario partire da una distinzione, e la distinzione è tra il concetto di ricchezza e il concetto di PIL. Il PIL è un’idea di ricchezza economica mentre invece nell’idea di ricchezza non rientra solo l’economia, rientra l’ambiente, rientra la salute, rientra la cultura, rientra la giustizia. Cioè, un paese senza salute non è un paese ricco, un paese che non è giusto non è un paese ricco. Quindi produrre salute, in un’idea di sviluppo sostenibile, vuol dire produrre la salute come ricchezza, ecco, questo è il concetto di fondo. Per produrre questa salute come ricchezza però dobbiamo dotarci di strutture adeguate, definendo delle istituzioni appropriate, programmi appropriati, strumenti appropriati. E devo dire che, rispetto a questo grande obbiettivo, che poi è l’unico obbiettivo che garantisce la sostenibilità del sistema di cura, noi siamo molto indietro.
Siamo il paese che spende meno del 5% in prevenzione nonostante siamo il paese che più di ogni altro ha tutte le leggi imperniate e concepite sulla base del diritto alla salute. Un po’ di errori in passato li abbiamo fatti e ora si tratta di recuperarli. Per esempio, un errore fatto è stato quello di dividere il concetto di ambiente dal concetto di salute, dividerlo anche istituzionalmente. Cioè, non ha senso che esista un Ministero dell’Ambiente e un Ministero per la Salute, anche perché i dati epidemiologici di cui noi siamo in possesso ci dicono sostanzialmente che l’ambiente è una delle principali cause di malattia nella nostra società, quindi non ha senso fare prevenzione o fare salute indipendentemente dalle politiche ambientali e mi riferisco in modo particolare a certe malattie, per esempio le malattie oncologiche che continuano a crescere. Un altro errore che abbiamo fatto è stato quello di concepire la funzione di prevenzione nella sanità tutta incardinata sulle aziende e sulle regioni. In realtà non si può fare salute nel senso che dicevo prima se non si fa “una politica di comunità”, cioè il soggetto di salute è la comunità quindi io sarei per restituire funzioni di salute ai comuni, funzione che è stata espropriata qualche anno fa. Ma c’è anche un’altra ragione per la quale io darei di nuovo funzioni di salute primaria ai comuni, che è quella che i comuni hanno un sindaco, cioè una figura che è eletta dal popolo. Quindi il sindaco è, come dire, il soggetto, la figura ideale per rappresentare i bisogni di salute di una comunità.
Se andiamo avanti di questo passo, cioè, se siamo d’accordo nel concepire una riunificazione strategica tra ambiente e sanità e salute, dobbiamo fare altre operazioni.
Quando penso a un’idea nuova di dipartimento, penso a qualcosa che sia in grado di agire almeno tre strategie importanti: la prima è quella classica, la prevenzione. La prevenzione che cos’è? Se io ho un fattore di nocività, per esempio l’amianto, lo rimuovo e ho fatto un’operazione di prevenzione di salute. Però non tutto possiamo conoscere sulla base dei fattori di causalità, molte cose ci sfuggono e soprattutto altre cose dipendono dai rischi che corriamo, quindi, un’altra strategia che suggerirei è quella della previsione. La previsione non si occupa di rimuovere fattori di nocività ma interviene sulla probabilità del rischio di ammalarsi e ha delle metodologie sue particolari. La terza strategia che suggerirei, che è quella meno conosciuta e la meno citata, è la predicibilità cioè la capacità di simulare una realtà, di organizzare una realtà, di creare una realtà nella quale il “rischio” di ammalarsi sia minimo, quindi progettare città, come dire, a rischio minimo di ammalarsi, urbanistica. È un’idea molto, molto interessante, che ti permette quasi di costruire, ecco, in maniera simulata, delle situazioni con un basso grado di nocività e di rischiosità. Ovviamente dentro queste, questi nuovi dipartimenti, se vogliamo proprio portare avanti queste strategie, dobbiamo introdurre e inserire anche nuove professioni, cioè non basta più il classico medico del lavoro, l’igienista, abbiamo bisogno di gente che sappia simulare, che sappia analizzare i rischi, etc. etc.
L’ultima cosa che vorrei dire è che, siccome la produzione di salute equivale a produrre ricchezza, io sono perché venga misurata. Quindi abbiamo bisogno di indicatori che misurino il grado di salute prodotto. È importante questo perché credo che dovremmo entrare nell’ottica di incentivare la salute tra i cittadini, e incentivare vuol dire che se io riesco a misurarla posso anche a premiarla. Si può incentivare la salute in tanti modi, per via fiscale, etc. però deve essere chiaro che è più conveniente dal punto di vista sociale produrre salute, quindi incentivare comportamenti “virtuosi”, ecco, e su questo terreno siamo ancora molto lontani.