Il tema è quello dell’aumento del traffico sulla rete mobile dovuta allo sviluppo del 5G, la rete di quinta generazione che sarà quella dell’internet delle cose. Tutto nasce dalla decisione europea di riallocare il range frequenziale attualmente dedicato solamente al digitale terrestre.
di Dino Bortolotto, presidente dell’associazione Assoprovider
Obiettivo di questo intervento è analizzare le caratteristiche delle diverse soluzioni al problema determinato dalla decisione europea di riallocare il range frequenziale dei 700 Mhz, attualmente dedicato al digitale terrestre. La decisione è determinata dalle crescenti richieste di nuove frequenze da parte degli operatori mobili, il problema è quindi come garantire la continuità operativa dei servizi offerti oggi dagli attuali assegnatari, costituiti dagli operatori del digitale terrestre.
Prima di procedere è opportuno fare qualche premessa. Ricordo che lo spettro frequenziale è un bene comune, secondo la definizione classica degli economisti, che esso è normato a livello mondiale, poi a livello europeo e infine a livello nazionale. Quanto sto per dire non è esaustivo né tecnicamente completo, ma ha lo scopo, visto che parliamo di un bene collettivo, di rendere la collettività cosciente delle conseguenze macroscopiche di ogni soluzione. È evidente che, trattando un bene collettivo, sia opportuno porsi la domanda di quali siano i criteri da privilegiare, e a tal proposito ritengo ovvio che la priorità spetti alla ricchezza dell’offerta di contenuti, che deve crescere e non diminuire ed è in subordine a tutto ciò che diminuisce i costi di produzione, trasporto e diffusione dei contenuti fruibili dagli utenti.
È sulla base di questo criterio che una soluzione banale come quella costituita dalla semplice chiusura degli attuali assegnatari, con un risarcimento economico per i mancati ricavi, al momento attuale non sia oggetto di valutazione. Le soluzioni finora emerse sono tre, e di seguito descrivo sommariamente le loro caratteristiche tecniche e il diverso impatto economico che esse hanno sui diversi attori economici coinvolti, che sono ovviamente gli operatori del digitale terrestre, gli utenti di tali operatori e la Pubblica amministrazione che ha il compito di sorvegliare il corretto utilizzo delle risorse collettive.
Una prima soluzione è costituita dallo spostamento sul trasporto satellitare degli attuali assegnatari del range frequenziale di 700 Mhz. È una soluzione che per gli operatori implica un costo per l’acquisizione del trasporto satellitare, che sarebbe compensato però dalla riduzione dei costi nella non più necessaria rete di trasporto e diffusione mediante frequenze del digitale terrestre.
Una ben più significativa perdita, costituita dalla riduzione del proprio parco utenti a causa dello switch, è il problema maggiore. Dal 2012 lo switch off ci ha insegnato come sia impossibile mantenere inalterato il proprio parco utenti, quando questi siano coinvolti in attività di risintonizzazione e modifica o acquisizione degli apparati riceventi. Ne consegue che se questa attività non fosse totalitaria, e non coinvolgesse quindi anche gli operatori del digitale terrestre attualmente non toccati dalla riassegnazione al range, essa risulterebbe discriminatoria nei confronti degli operatori sfrattati, che potrebbero quindi rivalersi e attuare significativi contenziosi. Attuando questa soluzione, ricadremmo quindi nel caso che non abbiamo voluto nemmeno prendere in considerazione all’inizio.
Le altre due soluzioni operano entrambe a parità di servizi erogati, una riduzione dello spettro frequenziale implicato. Una prima soluzione opera mediante un incremento del numero di bit ottenibili per singolo hertz mediante il passaggio dal digitale terrestre di prima generazione (DVB-T) a quello di seconda generazione (DVB-T2). Una seconda soluzione opera mediante una compressione del contenuto, ottenibile con il passaggio dalla codifica MPEG alla codifica MPEG4. Le due soluzioni hanno implicazioni economiche diverse, sia per gli operatori del digitale terrestre sia per gli utenti dei servizi. Nel caso del passaggio dalla codifica DVB-T a DVB-T2, gli operatori devono effettuare una completa ristrutturazione della rete trasmissiva, e quindi devono effettuare sia la sostituzione di tutti gli apparati diffusione, sia una probabile modifica del numero di apparati in campo. Gli utenti devono affrontare invece la sostituzione dell’apparato ricevente, in quanto sono veramente pochi gli apparati attualmente in possesso degli utenti che sono in grado di ricevere segnale del digitale di seconda generazione.
Nel caso del passaggio dalla codifica MPEG2 alla codifica MPEG4, gli operatori devono affrontare solo l’acquisizione dei codificatori MPEG4 nel centro di produzione, o di diffusione, e possono lasciare inalterata la rete di diffusione. Gli utenti devono affrontare la sostituzione dell’apparato di ricezione solo nel caso non sia già compatibile con lo standard MPEG4, e la diffusione di apparati presso gli utenti, compatibile con lo standard MPEG4 è sicuramente superiore alla diffusione di apparati compatibili con lo standard DVB-T2. A questo punto ciascuno dovrebbe essere in grado di individuare quale sia la soluzione più adatta.