di Marco Valli, EFDD – MoVimento 5 Stelle Europa
La web tax proposta dalla Commissione europea è una buona soluzione che tampona le lacune generate dalle imprese digitali che sfuggono alla tassazione degli Stati. È un problema enorme a cui l’esecutivo comunitario cerca di mettere una pezza proponendo l’applicazione di una tassa del 3% sui ricavi di quei colossi del web che superano i 750 milioni di Euro di fatturato a livello globale e i 50 milioni di Euro a livello UE. Parliamo solo di circa 120-150 società.
La web tax sarebbe solo una soluzione temporanea, da realizzare in attesa di trovare un accordo politico a livello internazionale o almeno europeo su una vera riforma del sistema di tassazione delle multinazionali. Questa proposta non impedirà certamente ai colossi del web di continuare a evadere miliardi di Euro ogni anno e lascia scoperto il problema di un sistema fiscale globale che incoraggia l’elusione, con paradisi fiscali presenti anche all’interno della stessa UE (come Irlanda, Lussemburgo, Olanda, Malta).
Per questo, il pacchetto presentato in questi giorni comprende anche una soluzione di riforma di lungo periodo che possa consentire agli Stati membri di tassare i profitti generati dalle società multinazionali nel loro territorio sulla base della sola presenza digitale. Quindi anche in assenza di un reale stabilimento fisico. Questa proposta andrebbe eventualmente a integrarsi alla cosiddetta CCCTB (Common Consolidated Corporate Tax Base), ora in discussione a livello di Stati membri e che abbiamo negli scorsi mesi fortemente sostenuto al Parlamento europeo. Soluzione al contempo osteggiata da quegli Stati che operano come paradisi fiscali di fatto all’interno dell’UE.
C’è il pericolo concreto che questa web tax rimanga però una proposta isolata e porti alla fine ad abbandonare le soluzioni più concrete, soprattutto la riforma onnicomprensiva del sistema di tassazione corporate (come detto la CCCTB), che impedirebbe una volta per tutte i meccanismi elusivi e risolverebbe alla radice il problema dei paradisi fiscali. Da questo punto di vista, la CCCTB deve proseguire con più impeto e dovrebbe riguardare la maggior parte delle imprese multinazionali, non solo quelle con fatturato superiore ai 750 milioni di Euro come previsto attualmente. Al contrario, ci si dovrebbe concentrare su tutte le grandi imprese multinazionali che fatturano oltre 50 milioni o 40 milioni a livello globale, utilizzando quella linea di demarcazione secondo cui, per diritto europeo, si viene riconosciuti come grande impresa. Esattamente in linea con la nostra proposta.
Sarà inoltre fondamentale assicurare che il gettito generato dalla CCCTB venga redistribuito equamente tra tutti gli Stati membri in cui la multinazionale svolge l’attività economica e che ogni contributo al bilancio europeo sia compensato da una corrispondente riduzione dei contributi nazionali. Si tratterebbe di un passo in avanti che, purtroppo, è ancora poco credibile in un’Europa che è riuscita a presentare una “blacklist dei paradisi fiscali” senza i principali attori protagoniste degli illeciti e senza predisporre sanzioni deterrenti adeguate. E non sarebbe comunque abbastanza, perché non si può pensare di risolvere un problema di natura globale senza spingere su soluzioni intercontinentali, concordate con tutti i Paesi, inclusi quelli in via di sviluppo che sono sinora rimasti esclusi da tutti i forum fiscali internazionali.
Il principio fondamentale di giustizia fiscale, che vede le multinazionali pagare le imposte dove svolgono l’attività economica e dove generano i profitti, contribuendo così come tutte le PMI tradizionali, viene calpestato da anni. La conseguenza è che miliardi di risorse vengono continuamente e impunemente dirottate dalle tasche dei cittadini a quelle dei “tax heavens“. Considerato che in sede di Consiglio europeo siedono almeno quattro capi di Stato rappresentanti paradisi fiscali di fatto (Lussemburgo, Olanda, Irlanda, Malta), abbiamo forti dubbi che si riusciranno a fare concreti e veloci passi in avanti.
Anche in questo caso un Governo forte e legittimo deve far sentire la sua voce per impedire la stipula dei cosiddetti “rulings”. Tre anni dopo lo scandalo LuxLeaks, infatti, il numero di accordi fiscali segreti tra i governi e i colossi industriali continua ad aumentare: secondo l’ultimo rapporto della Commissione europea sono cresciuti dai 1.252 del 2015 ai 2.053 del 2016.