Di seguito l’intervista rilasciata da Davide Casaleggio a FanPage in occasione di Italia5Stelle
Siamo qui all’evento di Italia5Stelle. Che valore assume questa manifestazione ora che il MoVimento 5 Stelle è al Governo?
In realtà più che una manifestazione è una festa, che organizziamo ormai da diversi anni a questa parte, per riuscire a radunare tutte le esperienze del MoVimento 5 Stelle in un unico posto, fare incontrare le persone e scambiarsi idee. Quest’anno, con il Governo, qualcosa è effettivamente cambiato, ma non il valore dell’attivismo, anzi. Avere un Ministro in un certo ministero rappresenta sicuramente un valore aggiunto, tuttavia, quello che per noi conta di più è l’attivismo in termini di partecipazione: le persone che aiutano con le idee, con la partecipazione, scrivendo per segnalare errori o con l’intento di migliorare delle attività che si stanno portando avanti.
Lei già in passato ha parlato del superamento del concetto di democrazia rappresentativa, del concetto di partecipazione. Come pensa che si possa superare la democrazia rappresentativa, cioè quali sono gli step necessari per arrivare a una democrazia più partecipata?
Innanzitutto bisogna avere gli strumenti per poter esercitare i nuovi diritti di cittadinanza digitale che oggi stanno emergendo, o i vecchi diritti, che portati in rete si sono trasformati completamente. Dall’altra parte è necessario avere la consapevolezza che questi diritti esistono, che questi diritti si sono trasformati. Oggi è possibile esercitare alcuni di questi diritti già all’interno della piattaforma Rousseau: un cittadino può presentare delle leggi e poi vederle discusse direttamente in Parlamento. È successo più di 22 volte.
Il concetto di partecipazione diretta dei cittadini alla vita pubblica non è solo una questione di voto, significa creare nuovo valore per la cittadinanza, per la comunità. Quindi, più che di democrazia diretta, preferisco parlare di democrazia partecipata: una democrazia in cui le persone possono partecipare alla vita del loro Comune.
Lei ha parlato di blockchain anche negli iter legislativi. Sarebbe interessante introdurre una sorta di blockchain anche nelle varie fasi di discussione, in modo da vedere chi modifica, quali parti vengono inserite, chi le inserisce. Pensa che sia un obiettivo da perseguire?
Io sto studiando da diversi mesi il tema della blockchain e lo vedo su diversi livelli. Oggi ha già diverse applicazioni. So che entro la fine del mese uscirà un’applicazione dell’Aci per permettere di vedere la storia della macchina. Qualunque meccanico che avrà messo le mani su una macchina dovrà scriverlo, o potrà scriverlo, su una blockchain gestita dall’Aci. Una macchina usata avrà dunque tutta la sua storia certificata. Le applicazioni della blockchain già oggi sono dappertutto e possono essere applicate ovunque. Questa prima applicazione della blockchain è solo il primo passo.
Quindi c’è una possibilità di utilizzare queste tecnologie nel processo di decision making governativo?
Certo, ci sono moltissimi contesti in cui la blockchain può essere già applicata oggi. Penso che dovremmo iniziare in Italia dal punto base, permettendo l’utilizzo di questa tecnologia in vari contesti, anche pubblici, della pubblica amministrazione. Mi spiegavano in alcuni Comuni d’Italia, che esistono persone che portano in giro carrelli pieni di registri da far firmare a tutti gli assessori. Questo metodo di raccolta firme è ormai anacronistico.
Mi ha colpito molto una sua frase sul palco: che un diritto non è tale se non viene esercitato. Come se avesse chiari davanti a sé i diritti che spesso il cittadino non esercita.
Ci sono tanti diritti scritti sulla carta, che magari ci siamo dimenticati. Il problema non è scrivere un diritto, il problema è volere un diritto, esercitare quel diritto e continuare a pretendere quel diritto, perché se un un diritto non viene esercitato, non viene preteso, non viene utilizzato, semplicemente muore. Quindi quando parliamo di nuovi diritti, spesso parliamo di diritti che emergono grazie a contesti culturali o a nuove tecnologie. I diritti, in realtà, sono quelli che noi iniziamo a pretendere in un dato contesto storico, non quelli che scriviamo sulla carta, che prima o poi tendono a scomparire. Dobbiamo iniziare a muoverci in modo attivo. Dobbiamo avere la consapevolezza che questi diritti stanno emergendo, si stanno trasformando e che sono importanti, un motivo in più per essere gestiti dalla comunità e non, magari forzatamente, da qualche società.
A questo si aggancia una critica che a volte subite, ossia la gestione dei processi decisionali. Penso ai candidati. Alla scelta dei candidati che poi viene gestita, nella fattispecie, da una società. Come si coniuga con la trasparenza, quella di cui lei ha appena parlato?
Esistono dei modi per rendere trasparenti dei processi. A parte il fatto che non è più una società a gestire questi processi, ma un’associazione senza scopo di lucro. Questo è un primo passo che è stato fatto più di 2 anni fa, mentre l’altro passo è consistito nell’ affidare a un ente di garanzia, il Comitato di garanzia, tutte le procedure che vengono definite per le votazioni. Si tratta di un Comitato votato da tutti i componenti di questa comunità, che hanno scelto di conferire a tre persone il potere di definire le regole, affinché possano essere aperte a tutti e possano rappresentare tutti. Quindi esiste il modo per creare la trasparenza nei processi.
Nel tempo abbiamo coinvolto enti di certificazione e dei notai che ci permettono di certificare il dato puntuale nel momento in cui questo viene definito.
Quindi in futuro una blockchain anche per Rousseau?
La blockchain è un’evoluzione che riguarderà anche il voto. Stiamo lavorando per inserire la blockchain all’interno di Rousseau, come sistema di certificazione distribuito che permetterà a più enti, o più persone, o anche a tutti, di verificare che effettivamente tutto stia avvenendo nel rispetto delle regole e di quello che è stato voluto dalla comunità.
Rispetto agli anni 90 e i primi anni 2000, in cui regnava l’ottimismo, la percezione della rete è molto peggiorata. Quest’ultima è considerata quasi come uno spettro che aleggia su di noi, per dirla con una frase un po’ all’antica. Cosa è cambiato, come mai è cambiata questa percezione?
Ogni volta che una nuova tecnologia arriva, incute timore a chi non la conosce e questo è abbastanza normale. È successo tante volte nei secoli. Ad esempio quando è arrivato il telefono, le persone erano spaventate dell’elettricità presente al suo interno. È normale che ci sia il timore del cambiamento, ma questo cambiamento è fondamentale, perché introduce un nuovo modo di partecipare. Secondo me è necessario che le persone inizino a capire, a informarsi, a definire come poter utilizzare questi nuovi strumenti.
Voi avete proposto un cambiamento importante: quello del referendum propositivo con il superamento del concetto di quorum. Non c’è il rischio che alcune lobby possano entrare a gamba tesa e proporre poi delle istanze dal basso?
C’è sempre il rischio che qualcuno proponga qualcosa utilizzando soldi, lobby o altro. Ma credo sia molto più facile che delle lobby agiscano all’interno di stanze chiuse e non pubblicamente, dovendo dimostrare, spiegare, convincere i cittadini della bontà o dell’inutilità di una certa scelta.
Quindi passeremo da una democrazia rappresentativa a una cittadinanza digitale. Possiamo dire così?
Certo, una cittadinanza digitale che permette alle persone di partecipare.