La mia principale missione da ministro del Lavoro è combattere la precarietà con tutte le mie forze. Perché sono convinto che se una persona vive serenamente e può programmarsi un futuro con la sua famiglia ne beneficia tutta la società, sia in termini di felicità che di ricchezza. Tanti non sono d’accordo con questa visione e hanno osannato provvedimenti come il Jobs Act, che ha smantellato i diritti dei lavoratori, facendo della precarietà la norma. Per loro l’importante è pagare il meno possibile, senza alcuna garanzia. Per loro il lavoratore è un costo, non un valore. Questa politica non ha portato a nulla.
Dicevano che trasformando, dopo un certo periodo, i contratti precari in contratti a tempo indeterminato avremmo perso migliaia di posti di lavoro. Mi hanno chiamato “ministro della disoccupazione”. Secondo me invece gli imprenditori, con uno stimolo, avrebbero assunto i precari a tempo indeterminato anziché licenziarli per prendere nuovi precari.
Perché di chi lavora bene non puoi farne a meno.
Mi sembra un approccio di buon senso difendere il diritto del lavoratore a una retribuzione dignitosa e a delle garanzie di stabilità del posto di lavoro.
Era una sfida e con il Decreto Dignità abbiamo sancito proprio questi principi. Oggi arrivano i primi dati reali. I numeri hanno un grande pregio: sono asettici, chiari e incontrovertibili. Oggi l’Inps certifica che:
– nel 2018 le assunzioni dei datori privati sono state 7.424.293 (+5,1% sul 2017), con ben 431.246 contratti in più nel nostro paese;
– al momento si contano 200.450 nuovi contratti a tempo indeterminato in più rispetto al 2017;
– c’è stato un boom delle trasformazioni da tempo determinato a indeterminato (+76,2%).
C’è poi un altro dato, incontrovertibile, che vede i contratti a tempo indeterminato, che sono cresciuti durante tutto il 2018, crescere a una velocità maggiore (superiore al 100% rispetto a prima) proprio da novembre.
Sono i primi effetti, appunto, del Decreto Dignità e mi danno tanto entusiasmo per andare avanti su questa strada. Non cerco un applauso, non li comunico per ottenere consenso, bensì per dimostrare che un’alternativa al pensiero dominante di chi ci ha preceduto esiste: è concreta, è reale. So bene che il problema non è risolto, ci sono ancora troppi precari che meritano una vita migliore, la strada da compiere è ancora lunga ma oggi, quantomeno, sappiamo di aver preso quella giusta. Perché quello che dimostrano i dati di oggi è che le imprese per non perdere il capitale umano che avevano formato hanno assunto i lavoratori. E questo significa che i lavoratori per le aziende sono un valore e non un costo.
Per quanto riguarda le imprese, l’obiettivo è quello di garantire sempre maggiori incentivi al tempo indeterminato. Per i nostri piccoli imprenditori i dipendenti sono come una famiglia. Possono vivere meglio i dipendenti e vivere meglio gli imprenditori. Quello che conta è mettere al primo posto la persona e la sua dignità.