Dopo quasi due anni dalla fine lavori della Commissione di inchiesta del Parlamento europeo sullo scandalo Dieselgate (EMIS) non si è fatto abbastanza per togliere dalla strada milioni di auto diesel che inquinano più di quanto dichiarato da costruttori e autorità di omologazione. Lo dice chiaramente la Corte dei conti nel documento di riflessione intitolato “La risposta dell’UE allo scandalo Dieselgate” (febbraio 2019).
I revisori inchiodano letteralmente la Commissione Junker alle proprie responsabilità quando affermano che potrebbero essere necessari molti anni per migliorare la qualità dell’aria nelle città considerato l’elevatissimo numero di auto diesel altamente inquinanti in circolazione in Europa, che secondo le stime a disposizione ammonterebbero a ben 43 milioni di veicoli. Perché i recenti sviluppi normativi promossi a livello dell’Unione, tra cui l’introduzione della prova RDE per gli inquinanti atmosferici, ovvero il test in condizioni reali di guida, non hanno avuto un impatto incisivo.
I revisori della Corte dei Conti scrivono che proprio la prova RDE avrebbe potuto portare ad una riduzione maggiore delle emissioni di ossidi di azoto (NOx) da parte delle auto diesel se la Commissione europea non ne avesse indebolito l’efficacia introducendo dei moltiplicatori con cui rendere più laschi i limiti da far rispettare ai costruttori di auto diesel: “l’introduzione della prova RDE ha portato ad una significativa riduzione delle emissioni di NOx da parte delle autovetture diesel, ma l’impatto avrebbe potuto essere ancora maggiore se fosse stato adottato il limite massimo di 128 mg/km di NOx inizialmente proposto invece di quello di 168 mg/km.”
Tradotto: la Commissione poteva (e noi diciamo doveva) essere più ferma nei confronti delle case automobilistiche e non concedere loro di piegare la nuova procedura di test su strada a loro piacimento, consentendo il raddoppio dei limiti da rispettare fino al 2020.
Una vergogna. Esattamente quanto noi abbiamo sempre denunciato in Commissione EMIS. E un punto su cui la Commissaria all’industria e il mercato interno (la polacca Elżbieta Bieńkowska) è stata incalzata anche durante l’ultimo confronto sul follow-up dell’UE allo scandalo Dieselgate il 20 febbraio scorso.
E non è finita qui. La Commissione europea ha ricevuto un’altra sonora bocciatura del suo operato, questa volta da parte della Corte di Giustizia europea, con sentenza di condanna di Dicembre 2018.
La sentenza ha annullato parzialmente il regolamento della Commissione – a cui il Movimento 5 Stelle si era opposto con un’obiezione in Parlamento UE – che aveva fissato limiti di emissione per i NOx troppo elevati, in base al cosiddetto “fattore di conformità” ovvero quei moltiplicatori (peraltro privi di solide fondamenta scientifiche) che consentono di annacquare i limiti.
La Corte condanna la Commissione perché la modifica dei limiti è avvenuta per mezzo di un atto “esecutivo”, ovvero una procedura che sfugge al pieno controllo e coinvolgimento dei co-legislatori – quindi del Parlamento europeo – atto che ha modificato un regolamento di base. Cosa significa in poche parole? che la Commissione ha modificato i limiti del regolamento con una procedura “secondaria” e non aveva il potere di farlo.
Ci sono voluti tre anni dallo scoppio dello scandalo dieselgate per confermare quello che il Movimento 5 Stelle ha sempre denunciato, ovvero che annacquare i limiti non avrebbe risolto il problema. Il fatto che il 20 febbraio la commissaria Bieńkowska abbia pubblicamente dichiarato in Parlamento europeo che la sentenza della Corte verrà “probabilmente impugnata” di certo non fa ben sperare e dice moltissimo di quanto l’esecutivo comunitario continui ad essere tristemente prigioniero delle lobby dell’auto.