Parigi, 1883, Leon Serpollet, costruttore del primo triciclo a motore viene autorizzato a guidarlo sulla pubblica strada. E’ la prima “patente” della quale si abbia notizia. La seconda, più celebre, è quella rilasciata, in Prussia, a Karl Benz, il leggendario ingegnere tedesco da molti considerato l’inventore dell’automobile. In Italia, la prima patente della quale si ha notizia è quella rilasciata, nel 1901, a Torino, a Bartolomeo Tonietto, autista di casa Savoia.
Oltre centotrenta anni più tardi, le patenti emesse in tutto il mondo sono miliardi e rappresentano un documento irrinunciabile sia in ragione della loro funzione primaria di attestazione del possesso di un permesso di guida, sia in ragione della loro funzione secondaria, ma egualmente diffusa, di documento di identità.
La centralità del documento del nostro quotidiano ha portato molti Paesi a interrogarsi sull’opportunità di digitalizzarlo perseguendo obiettivi diversi: usabilità da parte del titolare, sicurezza e anticontraffazione, accessibilità anche selettiva delle informazioni in esso contenute.
Sta accadendo così che dagli Stati Uniti all’Argentina, passando per Inghliterra e Finlandia, nel nostro vecchio continente, negli ultimi anni si vanno moltiplicando esperimenti e soluzioni – di maggior e minor fortuna – che consentono di trasformare la Patente in ciò che, probabilmente, è giusto che sia e in ciò che tutti i documenti sono inesorabilmente destinati a rappresentare: dati e informazioni, in buona misura certificati e rilasciati dallo Stato, nella disponibilità esclusiva del cittadino che, tuttavia, è tenuto a renderli accessibili allo Stato e ai privati in tutta una serie di ipotesi che vanno dai controlli stradali, all’accesso a ogni genere di servizio pubblico e privato, online come offline.
In Argentina, ad esempio, nei mesi scorsi, il Presidente della Repubblica, Mauricio Macri è stato tra i primi utilizzatori nel Paese della nuova “patente” completamente digitale, utilizzabile attraverso lo smartphone e conservata – quanto ai dati e alle informazioni che le danno vita – in MiArgentina, una sorta di repository pubblico nel quale i cittadini possono conservare ogni genere di documento che li riguardi.
La nuova patente sarà rilasciata – attraverso la stessa app – a oltre 19 milioni di cittadini e consentirà di risparmiare, secondo le stime rese disponibili dal Governo di Buenos Aires oltre 12 milioni di pesos facendo venir meno l’esigenza di stampare e distribuire le attuali patenti di plastica.
E’ analoga la soluzione, diffusa dal giugno dello scorso anno, in Lousiana, dove i cittadini possono scaricare un’app – costo 5 dollari e 99 cents – che gli consente di generare una versione digitale della propria patente di guida, utilizzabile in tutto lo Stato come permesso di guida.
La patente via app non vale ancora dappertutto come documento di identità ma sembra solo questione di tempo anche perché il dipartimento dello Stato che gestisce lo sviluppo e la distribuzione dell’app sta chiedendo direttamente agli utilizzatori di indicare quali sono i casi d’uso nei quali vorrebbero poterla usare come documento di identità.
Nel vecchio continente chi è più avanti degli altri è probabilmente la Finlandia con una soluzione sostanzialmente analoga a quella americana mentre in UK si sta concludendo una prima sperimentazione.
Il nostro Paese – per la verità in compagnia della quasi totalità dei Paesi europei anche in ragione della matrice comunitaria della disciplina di riferimento – è indietro: la Patente, dopo essere stata a lungo di carta telata, è oggi in formato europeo, una carta di credito rosa, stampata, sostanzialmente priva di tecnologia on board e con un processo di rinnovo che prevede l’invio di una pecetta adesiva che si appiccica sul retro ed è inesorabilmente destinata a scolorirsi già nei primi mesi di utilizzo, lasciando il povero titolare nell’imbarazzo di dover spiegare, specie all’estero, ogni volta, che a casa sua – ovvero a casa nostra – funziona così ma la patente è valida.
E non è che si tratti di una scelta vecchia di decenni, giacché, purtroppo, l’ultima gara per la stampa e distribuzione delle nostre nuove patenti sembra datata 2012 e ad avere avuto ad oggetto un’operazione costata circa 300 milioni di euro.
Forse è arrivato il momento di guardare al futuro o, anzi, al presente, dematerializzare la patente di guida in un formato, ovviamente, spendibile in tutta Europa e, magari, che consenta all’utente di scegliere, in maniera selettiva, di decidere, caso per caso, quali tra le informazioni che vi sono riportate, condividere o non condividere a seconda dei casi d’uso.
E’ uno di quei casi nei quali la tecnologia sembra essere ovviamente importante ma non il problema principale: tra l’app IO alla quale sta lavorando il Team per la Trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e il progetto sull’infrastruttura europea Blockchain al quale il nostro Governo ha, di recente, aderito, si tratta solo di decidere come dovrà essere e funzionare la nostra nuova patente digitale europea e, naturalmente, governarne il rilascio e l’uso, in maniera moderna, a Bruxelles.
I nodi da sciogliere sembrano altri: vogliamo una patente che sia semplicemente un attributo della nostra identità digitale capace di confermare che possiamo guidare? Vogliamo una patente che sia anche un documento di identità spendibile online e offline anche se, forse, ne abbiamo già troppi? Vogliamo una patente che – come pure si sta sperimentando in alcuni Paesi – faccia addirittura da chiave di accensione della nostra auto? Vogliamo una patente le cui informazioni siano, in tutto o in parte, nella disponibilità esclusiva del suo titolare? E’ arrivato il momento di scegliere, progettare la migliore delle patenti possibili e, poi, sbrigarci a mandare in pensione plastica e inchiostri.