Storico, saggista e filosofo, autore bestseller, considerato una delle menti più brillanti del nostro tempo. Yuval Noah Harari è stato protagonista di un’intervista trasmessa ieri sera da Skytg24, durante la quale ha parlato molto dell’impatto che le nuove tecnologie stanno avendo e avranno sulle nostre società a tutti i livelli e ha dedicato ampio spazio anche al tema del futuro del lavoro (qui le puntate precedenti della nostra rubrica). Un argomento che ha affrontato con ampiezza anche nel suo ultimo saggio 21 lezioni per il XXI secolo, edito da Bompiani.
Nel corso dell’intervista, Harari rileva come oggi in realtà non sappiamo prevedere come sarà il mondo tra 50 anni ed è la prima volta che questo accade nella storia dell’uomo.
Pertanto nessuno sa veramente dire oggi che competenze, quali qualità serviranno e come sarà il lavoro nel futuro. L’unica cosa certa è che la gran parte di noi dovrà cambiare lavoro e aggiornare le proprie competenze più di una volta nei prossimi 10 anni.
“La cosa migliore che possiamo fare – spiega il filosofo, – è quindi insegnare ai bambini a imparare continuamente e a essere flessibili, perché l’unica cosa che sappiamo sul mercato del lavoro e sul mondo nel 2050 è che saranno in continuo cambiamento”. Una visione abbastanza netta del futuro che si ritrova anche nel suo ultimo saggio quando si spinge a dire che “L’informazione è l’ultima cosa di cui i bambini hanno bisogno, ma ne hanno troppa in ogni caso.”
Harari concorda sul fatto che da qui in avanti le persone dovranno continuare a studiare e a cambiare per tutta la vita. “Per questo – spiega -, è fondamentale insegnare ai bambini come mantenere la flessibilità mentale per tutta la vita. Questa è la cosa più difficile perché quando si è giovani è facile accettare il cambiamento, ma già a 40 o 50 anni alle persone i cambiamenti non piacciono più, vogliono la stabilità. È stato così lungo il corso di tutta la storia”. L’obiettivo principale dell’istruzione, secondo lo storico, dovrebbe essere dunque formare persone con una mente flessibile e un’alta intelligenza emotiva. “Non sappiamo quali qualifiche tecniche saranno necessarie – aggiunge -. Spesso si dice che sarà necessario saper programmare ma forse nel 2050 potrà farlo un’intelligenza artificiale meglio degli uomini e scrivere codici sarà obsoleto e avremo bisogno di altro. Per questo secondo me la scommessa più saggia è sviluppare la flessibilità mentale”.
Le sfide più difficili, dunque, saranno psicologiche perché anche se nella migliore delle ipotesi nei prossimi anni si dovessero generale molti più posti di lavoro di quelli sostituiti dalla tecnologia, gestire questa transizione per le persone non sarà facile e richiederà molta flessibilità mentale.
Già nel 2017, d’altra parte, in un articolo pubblicato dal quotidiano inglese The Guardian Harari scrisse: “Il problema cruciale non è la creazione di nuovi posti di lavoro. Il problema cruciale è la creazione di nuovi lavori nei quali gli esseri umani possano avere prestazioni migliori degli algoritmi. Di conseguenza, entro il 2050 potrebbe emergere una nuova classe di persone, la classe inutile. Persone che non sono solo disoccupate, ma anche inoccupabili”.
La soluzione che propose in questo articolo fu di creare per le persone mondi virtuali, videogiochi avanzati con cui tenerle occupate tutto il tempo. Dal punto di vista del filosofo, né più né meno che una versione moderna e tecnologica di quanto non sia già esistito lungo tutto l’arco della storia dell’uomo in varie forme, dalle religioni, al consumismo.