Tante eccellenze ma anche tante, troppe situazioni critiche. Dovendo descrivere in sintesi le condizioni dell’Università e della Ricerca italiana, è questo il ritratto che emerge.
La fuga dei cervelli all’estero, gli stipendi bassi e la precarietà “stabile”, le pari opportunità e il merito negati… Risolvere queste criticità, che spesso sfociano in veri e propri scandali come quello dei concorsi truccati emerso di recente a Catania e in tanti altri atenei, è un presupposto indispensabile per investire finalmente in maniera adeguata sull’Università e sulla Ricerca.
Oggi l’Italia investe in Alta formazione e Ricerca solo lo 0,3% del Pil, meno della metà della media europea che si attesta alla 0,7%. Chi ha governato nei decenni passati non ha messo mano alle criticità e ha prodotto soltanto tagli e inefficienze, ignorando o peggio fingendo di non sapere che ogni euro investito in Ricerca e Formazione ne genera 3 o 4 in termini di ricchezza prodotta. Sappiano poi che i laureati ricevono stipendi mediamente più elevati, contribuendo dunque maggiormente alla fiscalità generale e ai consumi.
E sappiamo anche (dati Confindustria) che l’investimento in Istruzione e Formazione andato perso dal 2008 al 2018 su circa 260mila giovani laureati espatriati è stato di 42,8 miliardi di euro.
Li abbiamo formati con i soldi delle nostre tasse e i benefici, economici e non, se li godono altri Paesi.
Il MoVimento 5 Stelle su questo fronte ha sempre sostenuto che, innanzitutto, va riformato il sistema nella direzione dell’efficienza, dei diritti e della valorizzazione effettiva del merito. E dopo aver gettato le basi di questo cambiamento radicale va fatto investimento di risorse per attivare un ciclo virtuoso che dai nostri atenei si espande nella società. Insieme al nostro viceministro al Miur, Lorenzo Fioramonti, ci stiamo lavorando senza sosta: riformare il sistema da un lato e, dall’altro, ottenere un miliardo in più per l’Università e la Ricerca già nella prossima legge di Bilancio.
A settembre la commissione Cultura della Camera esaminerà la nostra proposta di legge che porrà fine alla pratica purtroppo ordinaria di contratti che scadono dopo pochi mesi e che lasciano nell’indeterminatezza più totale i nostri ricercatori. Ad oggi ce ne sono 20mila precari e senza tutele: dobbiamo garantire a loro e a chi in futuro si affaccerà su questo mondo, tempi certi prima e dopo il dottorato di ricerca, con forme contrattuali agevolate dal punto di vista fiscale e contributivo, e che definiscano diritti e doveri. Le nuove regole metteranno fine alle pratiche clientelari che troppe volte hanno visto premiare amici e parenti a discapito dei meritevoli: la nostra riforma del sistema di reclutamento nazionale dei ricercatori italiani prevede commissioni esaminatrici sorteggiate e maggiore trasparenza.
Infine, abbassiamo l’età media dell’ingresso in ruolo dei ricercatori, che ad oggi si attesta a oltre 41 anni mentre negli anni ’90 era di 33. I nostri giovani devono poter vivere dignitosamente del loro lavoro e non resistere fino a 40-50 anni tra mille difficoltà in attesa di una collocazione più stabile. Quanti si sono arresi in questo calvario? Quanti se ne sono andati? Quante opportunità ha perso l’Italia per colpa di questo sistema malato?
La nostra proposta di legge punta a modificare il meccanismo del turnover dei docenti universitari, con un sistema di reclutamento nazionale che stabilisce regole uguali per tutti ed evita di lasciare nelle mani di gruppi di potere locali la selezione di ricercatori e docenti.
Una doppia sfida, quella della riforma del reclutamento e quella dell’individuazione di nuove risorse, che ci continuerà a vedere in prima linea fino al traguardo: lo dobbiamo ai nostri giovani e a tutti gli italiani, che con le loro tasse finanziano l’Università e devono poter contare su un sistema che sia in gradi di produrre benefici per tutti e non soltanto per i soliti noti.