Nel tempo che impiegherete per leggere questo post, circa tre minuti, nel mondo, verranno comprati oltre tre milioni di bottiglie di plastica, nella maggior parte dei casi di acqua minerale.
La stragrande maggioranza non sarà mai riciclata e solo il 7% sarà usato per produrre nuove bottiglie di plastica. Ma nello stesso intervallo di tempo nel mondo verranno prodotti altri 4,5 milioni di bottiglie di plastica. Nell’Unione Europea l’80-85% dei rifiuti marini trascinati sulle spiagge sono di plastica e, di questi, il 50% sono contenitori di plastica monouso o loro componenti: bottiglie di bevande, tappi, piatti, contenitori per alimenti diversi.
La plastica ha cambiato il nostro modo di vivere. La sua straordinaria multifunzionalità e i costi relativamente bassi l’hanno imposta, con prepotenza, nel nostro quotidiano e farne a meno è una sfida difficile.
È, però, innegabile che è uno dei principali protagonisti della progressiva distruzione del nostro Pianeta e, quindi, continuando a usarla ai ritmi attuali, di fatto, stiamo ribaltando su chi verrà dopo di noi il prezzo della nostra comodità e dei nostri risparmi. Il problema della plastica può essere riassunto così: è normalmente progettata per durare per sempre ma è, nella più parte dei casi, usata una sola volta e poi gettata via.
Il 5 giugno scorso, il Parlamento europeo, a una manciata di giorni dal suo scioglimento, ha approvato la Direttiva 2019/904 sulla riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente.
Uno dei principali obiettivi della Direttiva è abbattere drasticamente, in tutti i Paesi membri, il consumo di plastica per oggetti monouso: tappi per bottiglie di plastica, bottiglie, piatti e forchette, filtri per tabacco innanzitutto.
Le soluzioni individuate dalla Direttiva sono diverse e differenziate per tipologie di prodotti: restrizioni alla loro immissione sul mercato, specifiche tecniche di produzione idonee, ad esempio, a fare in modo che il tappo di una bottiglia nasca e muoia con la bottiglia, azioni di sensibilizzazione, obblighi di informazione, responsabilità estesa dei produttori i quali dovranno farsi carico dei costi connessi alla raccolta e al riciclo e smaltimento dei rifiuti generati. È la strada giusta.
Tra il luglio del 2021 e il luglio del 2024 dovremo, come tutti i Paesi membri, recepire la Direttiva e trasformare le regole in azioni concrete. Ma, probabilmente, possiamo fare di più e possiamo farlo prima.
Per ridurre l’uso della plastica e, in particolare, di quella usata per oggetti monouso come le bottiglie, infatti, non serve necessariamente una legge. Ciascuno di noi può fare la sua parte semplicemente tenendo conto del problema nelle proprie scelte di consumo. Un esempio, tra l’altro, lo ha dato nei giorni scorsi la Camera dei Deputati chiudendo le porte di Montecitorio alle bottiglie di plastica e agli altri analoghi contenitori monouso.
E, con un po’ di coraggio, c’è un’altra partita che si potrebbe giocare. È quella delle ACQUE MINERALI.
Nel 2015, secondo i dati del Ministero dell’economia, in Italia, sono stati emunti quasi 16 miliardi di litri di acqua minerale da 194 concessionari ovvero imprese autorizzate dallo Stato a sfruttare le nostre sorgenti. I canoni di concessione – ovvero le fee che i concessionari hanno pagato all’Erario per lo svolgimento della loro attività – sono stati di 18,4 milioni di euro pari allo 0,68% del fatturato annuo del settore stimato in 2,7 miliardi di euro.
Forse si potrebbe ipotizzare, senza attendere il recepimento della Direttiva europea, di stabilire una regola semplice, equa, a prova di futuro in forza della quale il canone concessorio varia in maniera direttamente proporzionale alla quantità di plastica prodotta: più plastica si usa più il conto è salato, meno plastica si usa più la concessione è a buon mercato.
È solo una questione di priorità. Se il futuro è prioritario, allora è la cosa giusta da fare.