È stato omicidio.
Stefano Cucchi, fermato la sera del 15 ottobre 2009, è stato massacrato di botte in una caserma e morto all’ospedale Pertini per il pestaggio subito. Questo è il verdetto in primo grado contro i veri responsabili, i carabinieri Raffaele D’Alessandro e Alessio Di Bernardo, condannati a 12 anni di carcere per omicidio preterintenzionale. Poi c’è Francesco Tedesco, condannato a due anni e mezzo per falso commesso, e Roberto Mandolini a tre anni e otto mesi per manomissione di dati e falsa testimonianza.
Abbiamo lottato dal primo momento, da quel lontano 2009, chiedendo che si facesse luce su questa torbida vicenda. L’abbiamo seguita passo passo, con il fiato sospeso, perché fosse resa giustizia e venisse riscattata la storia di una famiglia che ha tanto sofferto quanto resistito!
Verità, che parola bellissima. A volte si sussurra soltanto, non si ha la forza di gridarla.
Uno Stato che la cerca, che non la baratta con nient’altro, è uno Stato all’altezza della più bella democrazia e, soprattutto, di coloro che dedicano una vita intera a perseguire la giustizia. Questo Paese ha un debito di coraggio con la famiglia Cucchi.
In tutta questa storia ci sono attori e comparse che Stefano lo hanno ucciso tante volte cercando di nascondere la verità!
Ma in mezzo al fetore di questi antieroi, c’era sempre il profumo di un fiore che è sopravvissuto al freddo dell’inverno: Ilaria Cucchi, sorella di Stefano e voce della sua vita spezzata. Una donna che ha lottato e lottato e lottato perché la memoria del fratello smettesse di essere ingiuriata, perché la sua morte venisse raccontata per ciò che era stata veramente: un omicidio.
Il suo coraggio mi commuove, il suo coraggio mi insegna, il suo coraggio è un patrimonio per tutti. Contro l’impossibile può solo l’amore.