Nel decreto Istruzione appena approvato alla Camera affermiamo un principio nuovo che finora, incredibilmente, non esisteva negli Enti pubblici di ricerca italiani: chi ha un contratto come assegnista di ricerca, a tempo determinato, chi lavora già stabilmente in questo settore in Italia, anche se non contrattualizzato come permanente, può accedere a una procedura per trasformare la sua posizione a tempo determinato in un contratto finalmente stabile.
Un risultato, questo, reso possibile dal grande impegno del Governo e delle commissioni Cultura e Lavoro di Montecitorio: il MoVimento 5 Stelle e le altre forze di maggioranza hanno lavorato sodo per offrire condizioni di lavoro dignitose e il giusto riconoscimento a chi ha il merito di saper proiettare l’Italia nel futuro, anche cercando di superare tutti quei cavilli burocratici che finora hanno lasciato fuori dal processo di stabilizzazione alcune categorie di ricercatori.
Supportare l’Università e la Ricerca vuol dire assicurare al nostro Paese un futuro più prospero: ogni euro investito in questo campo ne genera tre o quattro in termini di impatto economico. E i nostri atenei e la ricerca pubblica rappresentano il principale fattore di innovazione di cui dispone l’Italia.
Purtroppo, un po’ come i docenti nella scuola, i nostri ricercatori sono storicamente costretti nella precarietà e non valorizzati per le loro competenze effettive e per il contributo che danno al progresso tecnologico, scientifico e culturale. Negli anni, come sappiamo, tante delle menti migliori uscite dalle nostre ottime università sono state costrette a mettere il loro talento al servizio di altri Paesi e di industrie straniere. È accaduto dunque che tante, troppe persone formate dal sistema scolastico e universitario statale, quindi con i sacrifici delle famiglie e grazie alle tasse pagate dai cittadini, portassero il loro sapere a Paesi che non hanno dato alcun contributo alla loro formazione.
Per il MoVimento 5 Stelle questo fenomeno ha sempre rappresentato una patologia da estirpare, anche perché l’Italia non è mai riuscita a compensare la cosiddetta ‘fuga dei cervelli’, che a determinate condizioni è fisiologica e virtuosa, con la capacità di attrarre altrettanti studiosi e ricercatori dall’estero. Dall’inizio di questa legislatura siamo a lavoro in Parlamento per invertire la tendenza: e il decreto Istruzione, accanto alle importanti risposte al mondo della scuola, mette la soluzione dei problemi della ricerca e dell’università tra le priorità del Paese, a partire dal processo di stabilizzazione e dalle assunzioni a tempo indeterminato dei precari della ricerca, a cui finalmente restituiamo la dignità che meritano.
Avviare un processo di stabilizzazione dei ricercatori, offrire loro una prospettiva fatta di maggiori certezze, significa mettere in campo un importante “antidoto” contro la fuga dei cervelli, ma oltre a impedire l’emorragia di eccellenze il nostro Paese deve anche essere sempre più attrattivo per i talenti provenienti dall’estero.
Trentamila aspiranti professori universitari, inoltre, potranno finalmente tirare un sospiro di sollievo con la proroga, da sei a nove anni, dell’abilitazione scientifica nazionale contenuta nel decreto. I titolari dell’abilitazione conserveranno così per più tempo la possibilità di partecipare ai concorsi per insegnare nei nostri atenei.
Tra le ragioni per le quali molti studiosi stranieri si guardano bene dal venire in Italia c’è sicuramente anche un eccesso di burocrazia.
Un esempio, al quale diamo risposta nel decreto, è l’obbligo per i nostri ricercatori di ricorrere al Mepa, la piattaforma per gli acquisti della Pubblica Amministrazione, per procurarsi la strumentazione i materiali utili alle loro attività. Avviene dunque che un ateneo – il caso più recente è quello di Cagliari – rischi di dover spegnere un macchinario importante perché sulla piattaforma non è possibile trovare una determinata sostanza (l’elio liquido per i ricercatori sardi), oppure accade che per una spesa di pochi euro si debbano aspettare i tempi procedurali e di consegna della piattaforma, mentre acquistandola per altre vie si sarebbe potuta avere in un paio d’ore, magari a un prezzo più vantaggioso. Nel decreto che ora passa al vaglio del Senato prevediamo finalmente la possibilità per la ricerca pubblica di scegliere nel libero mercato le opzioni migliori.
Passo dopo passo stiamo invertendo la tendenza che negli ultimi anni ha visto l’Italia occuparsi sempre meno della Ricerca e dell’Università, a forte discapito dello sviluppo e dell’innovazione, ma anche dei tanti ricercatori costretti a lavorare in condizioni tutt’altro che ottimali, tenuti nel limbo della precarietà o di fatto obbligati a cercare all’estero le possibilità che non trovavano in Italia.
Oltre al decreto Istruzione, alla Camera siamo al lavoro per riformare il sistema di reclutamento dei ricercatori all’insegna di merito e trasparenza e rimodulare l’accesso all’università, anche con l’obiettivo di collegare in modo più diretto ed efficace mondo della formazione e mondo del lavoro.
Con queste proposte e con il decreto appena approvato a Montecitorio diamo ai nostri giovani e ai nostri ricercatori un segnale importante: lo Stato deve tornare a offrire pari opportunità a tutti, dare riscontro concreto a chi merita e far sentire accolto chi si impegna per il futuro del Paese.
Se voltiamo le spalle a queste persone avremo voltato le spalle alla nostra possibilità di affrontare adeguatamente le importanti sfide che abbiamo davanti.