Il voto definitivo sulla riforma del Mes è stato rinviato ad inizio 2020 e per noi questa è una notizia importante, che ci ripaga del lavoro svolto in questi mesi.
La posizione del MoVimento 5 Stelle sul Meccanismo Europeo di Stabilità è coerente fin dalla scorsa legislatura: quel Trattato non ci ha mai convinto, perché rappresenta la logica dell’austerità che tanto male ha fatto al progetto europeo. La riforma in discussione va a peggiorare alcuni punti decisivi del Trattato rendendo più concreta l’ipotesi di ristrutturazione del debito pubblico per gli Stati in difficoltà finanziaria. Il contrario della solidarietà europea per cui ci battiamo da sempre.
Per gran parte del sistema mediatico la riforma del Mes è un tabù intoccabile. Chi osa metterla in discussione viene accusato di fare il gioco delle opposizioni e di voler distruggere segretamente il progetto europeo. Eppure il M5S, che sin dall’inizio ha espresso una critica ragionata e nel merito, è in ottima compagnia. Una folta schiera di economisti, italiani e non, hanno scritto e parlato della riforma del Mes in toni anche più duri dei nostri.
Per cominciare dagli economisti di sistema, vanno ricordate le audizioni parlamentari di Giampaolo Galli e di Ignazio Visco.
Il primo, ex deputato del Partito Democratico, ha ricordato che “la novità non sta tanto nella possibilità che un debito sovrano venga ristrutturato – cosa che è già avvenuta nel caso della Grecia – ma nell’idea che la ristrutturazione diventi una precondizione, pressoché automatica, per ottenere i finanziamenti”.
Visco, governatore di Banca d’Italia, nel recente passato ha usato toni ancora più allarmati, sostenendo che “i benefici contenuti e incerti di un meccanismo per la ristrutturazione del debito vanno valutati a fronte del rischio enorme che si correrebbe introducendolo: il semplice annuncio di una tale misura potrebbe innescare una spirale perversa di aspettative di insolvenza, suscettibili di autoavverarsi”.
I passi indietro successivi di Galli e Visco, probabilmente dovuti all’assalto mediatico che ha colpito i critici della riforma, non tolgono la sostanza di quelle due importanti testimonianze.
Come se non bastasse, due economisti francesi vicinissimi a Macron sono andati anche oltre.
Shahin Vallée, collaboratore di fiducia del presidente francese e ricercatore del noto centro studi Brueghel, think tank di dichiarata fede europeista con sede a Bruxelles, ha scritto su Twitter che “la riforma del trattato Mes non vale la carta su cui è scritta. L’Eurogruppo dovrebbe rinviare l’accordo e definire con la nuova Commissione europea un testo più ampio, più equilibrato e più ambizioso” e ha dichiarato con estrema onestà che “c’è qualcosa di vigliacco nel sostenere pubblicamente un accordo, sperando segretamente che siano gli italiani a bloccarlo”. Considerazioni del tutto analoghe da parte di Jean Pisani-Ferry, commissario di France Stratégie e anch’esso in passato ricercatore del Brueghel.
Nel mondo degli economisti critici, invece, le riserve sul Meccanismo Europeo di Stabilità arrivano da lontano, sin dall’entrata in vigore del Trattato nel 2012.
Da notare in particolare un recentissimo appello che riunisce 32 economisti di molte università italiane, nel quale si può leggere un’analisi razionale della riforma Mes molto simile a quella del M5S. I professori scrivono testualmente che “i parametri scelti [per accedere al sostegno finanziario] sono tali da escludere a priori che l’Italia possa soddisfarli…” e che “se dunque l’Italia dovesse ricorrere all’Esm, sarebbe sottoposta ai giudizi sul debito e potrebbe esserle richiesto di ristrutturarlo. In questo caso subirebbero perdite non solo i possessori privati dei nostri titoli di Stato, ma soprattutto i bilanci delle banche, facendo precipitare tutto il sistema creditizio in una grave crisi. Si dice che non ci sono automatismi che prevedano la ristrutturazione, ed è vero; ma il solo fatto che ve ne sia la possibilità costituisce agli occhi dei mercati un fattore di rischio, a fronte del quale gli investitori chiederanno interessi più elevati. La recente risalita dello spread costituisce già un segnale di inquietudine dei mercati che non sembra opportuno alimentare”.
L’appello si conclude suggerendo il “rifiuto della logica che ha finora prevalso in Europa e che si è rivelata perdente dal punto di vista dell’efficacia. I compromessi sono possibili e auspicabili, ma si raggiungono quando ciascuna delle parti tiene conto delle posizioni e delle necessità delle altre, cosa che finora non è avvenuta”.
Il M5S si rispecchia pienamente in queste sagge parole.
Infine, tra questi economisti italiani, vanno citati in particolare i professori dell’Università degli Studi di Siena Sergio Cesaratto e Massimo D’Antoni, che in un bell’articolo riassuntivo fanno intendere come la ristrutturazione, anche se non dovesse mai concretizzarsi, sarebbe un’arma di ricatto nelle mani di chi, come la Germania, vuole costringere l’Italia a proseguire sulla via distruttiva dell’austerità.
Considerazioni sulle quali bisogna almeno riflettere, senza tacciare di populismo o nazionalismo chiunque osi mettere in dubbio la bontà di questa riforma europea.