Articolo pubblicato sul settimanale britannico “The Economist” e tradotto e pubblicato sul settimanale italiano “Internazionale“
A Natale gli incendi sembravano aver dato tregua all’Australia, ma con l’avvicinarsi dell’anno nuovo nel paese è tornato l’inferno. Nello stato di Victoria, mentre le fiamme avvolgevano la città costiera di Mallacoota, migliaia di persone si sono rifugiate in spiaggia alla vigilia di capodanno. Nel vicino New South Wales Samuel McPaul, un vigile del fuoco volontario, ha perso la vita quando un “tornado di fuoco”, come lo hanno descritto i suoi colleghi, ha ribaltato il suo veicolo. In entrambi gli stati il governo federale ha inviato aerei e navi militari per trasferire le persone rimaste intrappolate sul litorale. Secondo gli esperti l’ondata di incendi, la più devastante nella storia del paese, non è ancora finita. Intanto nel paese è in corso un acceso dibattito sull’impatto dei cambiamenti climatici e sul mancato impegno del governo per affrontarlo.
Il New South Wales Samuel, lo stato più popoloso dell’Australia, ha pagato il prezzo più alto, con 15 vittime e circa 1.300 case distrutte. Le fiamme hanno coperto un’area di circa 40mila chilometri quadrati, grande quasi quanto il territorio della Danimarca ed equivalente a quella andata a fuoco negli ultimi tre anni. Di solito il periodo caratterizzato dai roghi comincia in ottobre, a metà della primavera australiana, ma nel 2019 gli incendi sono arrivati già a luglio. La siccità era cominciata in realtà nell’Australia orientale tre anni fa, creando una grande quantità di materiale secco particolarmente infiammabile. Il 18 dicembre l’Australia ha vissuto la giornata più calda mai registrata, con una temperatura media di 41,9 gradi. Gli incendi si sono diffusi in tutto il paese, arrivando a bloccare l’autostrada che attraversa il Nullarbor Plain e collega l’Australia occidentale alla costa orientale.
All’inizio di dicembre alcuni ex vigili del fuoco hanno invitato il governo a organizzare un incontro di emergenza per discutere la minaccia incombente, resa più urgente dal riscaldamento globale. Il primo ministro Scott Morrison, però, aveva altri progetti, e senza comunicarlo alla popolazione ha portato la famiglia in vacanza alle Hawaii. Dopo una pioggia di critiche e la morte di due pompieri in sua assenza, Morrison è tornato poco prima di Natale, ma ha respinto la richiesta di cambiare l’approccio della coalizione liberal-conservatrice per affrontare l’emergenza climatica.
La politica del governo si ispira a quella avviata da John Howard, ex primo ministro liberale che in passato ha sminuito gli allarmi ambientalisti parlando di “ultima causa progressista” e di “surrogato della religione”. Quando a novembre gli incendi hanno cominciato a devastare il territorio, il vicepremier Michael McCormack ha accusato i “pazzi di città” di voler collegare per forza i roghi alla politica climatica e all’industria del carbone australiana. Il carbone, una delle principali fonti di emissioni di CO2, è al secondo posto tra le esportazioni del paese ed è utilizzato per generare quasi due terzi dell’elettricità. La coalizione di governo ha abolito la tassa sul carbone introdotta dal precedente esecutivo laburista. Per sostituire questo meccanismo, regolato dal mercato, il governo di Canberra ha istituito un fondo pubblico da 3,5 miliardi di dollari australiani (2,2 miliardi di euro), utilizzato in parte per “ricompensare” chi accetta di ridurre le emissioni. I critici sostengono che misure di questo tipo siano assolutamente inadeguate.
Greta Thunberg, attivista per il clima svedese, ha citato gli incendi in un tweet in cui ha criticato la politica climatica del governo australiano. Morrison ha risposto dichiarando di “non essere qui per cercare di impressionare la gente in altri continenti”. Mentre la situazione dei roghi si faceva sempre più drammatica, i rappresentanti di alcuni paesi alla conferenza sul clima di Madrid si lamentavano delle manovre tentate dall’Australia, che starebbe cercando di utilizzare i crediti carbone legati agli obiettivi per il 2020 per rispettare gli impegni, più ambiziosi, presi per il 2030.
Il ministro dell’energia Angus Taylor ha dichiarato che l’Australia, producendo appena l’1,3 per cento delle emissioni globali, “non può avere da sola un impatto significativo”.