L’intensificarsi dei fenomeni meteorologici estremi, strettamente connessi al cambiamento climatico, ha portato con sé, negli ultimi decenni, all’inevitabile aumento di piogge torrenziali, colate di fango ed eventi calamitosi che mettono ad alto e costante rischio l’incolumità della popolazione. A farne le spese sono principalmente le zone che già presentano criticità in termini di rischio idrogeologico: dal 1900 ad oggi, secondo i dati forniti dall’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica (IRPI) del CNR, in Italia sono state registrate oltre 10.000 vittime, più di 350 mila sfollati, centinaia di infrastrutture crollate o danneggiate.
I danni da frane o inondazioni, dunque, determinano danni sia in termini economici, sia in termini di perdita di vite umane.
Dagli stessi dati forniti dall’IRPI emerge, inoltre, che nessuna provincia italiana risulta essere immune da disastri da eventi calamitosi. A ciò è legato un preoccupante dato, connesso al fatto che il maggior numero di vittime si registra sempre nelle stesse aree geografiche, posto che il più elevato numero di vittime si registra soprattutto in Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Trentino-Alto Adige e poi progressivamente Friuli Venezia-Giulia, Toscana, Umbria, Sicilia e Basilicata.
Ciò vuol dire che almeno l’80% dei sindaci italiani si trova a dover costantemente fronteggiare situazioni di rischio idrogeologico, tenuto conto che il fenomeno riguarda, più o meno direttamente, circa 23 milioni di cittadini italiani e quasi il 10% del territorio.
Studi recenti dimostrano la diretta connessione tra cambiamento climatico e dissesto idrogeologico.
Secondo uno studio pubblicato nel 2014 dall’Organizzazione mondiale della meteorologia, nel periodo ricompreso tra il 1971 e il 2010 si sono verificati nel mondo ben 8835 eventi meteorologici estremi, che hanno complessivamente causato 2400 miliardi di danni e 2 milioni di vittime. È facile, dunque, comprendere l’impatto che tali eventi determinano sulla società civile ed è altrettanto facile comprendere l’immediata necessità di porre in essere interventi strutturali.
Le alterazioni del sistema pluviometrico, legato all’aumento della frequenza e dell’intensità delle precipitazioni, alterano le condizioni di umidità del suolo, dando origine alla maggior parte degli eventi franosi. La ricorrenza di questi fenomeni estremi è decisamente aumentata negli ultimi anni, sia in Italia, sia, più in generale, nella regione euro-mediterranea. Ciò impone la necessità di una attenta e capillare pianificazione territoriale che, accompagnata alla progettazione di interventi di prevenzione del rischio idrogeologico, tengano conto dell’incidenza che i cambiamenti climatici hanno su tali fenomeni.
In quest’ottica si pone, allora, il c.d. “Proteggi Italia” (Piano nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico, il ripristino e la tutela della risorsa ambientale), un piano lanciato dal Governo per la protezione e messa in sicurezza del territorio che prevede, per il triennio 2019-2021, l’impiego di 11 miliardi di euro per interventi contro il dissesto idrogeologico. Contiene, nello specifico, misure di emergenza, misure di prevenzione, misure di manutenzione e ripristino, misure di semplificazione, misure di rafforzamento della governance e organizzative. Un intervento senza precedenti e che non mira soltanto a mettere in sicurezza 3 milioni di nuclei familiari residenti in aree ad alta vulnerabilità, ma a mettere in sicurezza l’intero Paese con la logica della prevenzione.
Si tratta di un piano integrato che coinvolge vari ministeri e dipartimenti, per la realizzazione di progetti che, concretamente, riducano il rischio idrogeologico connesso ai cambiamenti climatici.
Secondo i dati forniti da Legambiente (Rapporto Ecosistema Rischio 2017), 7,5 milioni di italiani vivono o lavorano in aree a rischio e negli ultimi 5 anni sono stati stanziati oltre 7,6 miliardi per il risarcimento dei danni provocati dal maltempo in Italia.
È bene precisare che un ulteriore elemento che amplifica fortemente il rischio idrogeologico è costituito dall’eccessivo consumo di suolo e dal mancato rispetto dei vincoli di inedificabilità, oltre che dal cattivo stato di manutenzione delle aree di esondazione e dei corsi d’acqua.
Lo scenario futuro, ma neanche troppo lontano, è quello di un ulteriore e costante peggioramento delle condizioni climatiche, ragion per cui la necessità di interventi concreti si pone in maniera sempre più pressante.