Il periodo antecedente la “grande guerra” è stato caratterizzato da importanti eventi che hanno plasmato il mondo e la società del tempo trasformandoli nell’attuale contesto in cui viviamo. L’invenzione della macchina a vapore alla fine del 700 segnò l’inizio della rivoluzione industriale basata sulle fonti fossili, la pubblicazione de “L’origine della specie” nel 1859 promosse la teoria secondo la quale la competizione è alla base del miglioramento della specie e pose le basi concettuali per il superamento dell’insegnamento comunitario cristiano, ben rappresentato nel discorso alla montagna del vangelo di Matteo e in Marco (12,29): “amerai il prossimo tuo come te stesso”.
Il periodo post bellico è stato caratterizzato da una crescita impetuosa basata sul massiccio uso delle fonti fossili (il petrolio su tutte) che ha liberato le grandi masse dalla povertà che le affliggeva dalla fine della guerra, redistribuendo i suoi frutti verso le classi sociali a bassa scolarizzazione: è stato il periodo del baby boom ed è stato anche il periodo dell’esplosione edilizia. In Italia furono gli anni della nazionalizzazione dell’energia elettrica, della scuola media dell’obbligo, per finire con lo statuto dei lavoratori del 1970. L’intervento dello Stato nell’economia cercava di mitigare il liberismo delle società capitalistiche occidentali.
La guerra del Kippur, la prima crisi petrolifera, che in Italia significò le domeniche dell’austerity, fu uno spartiacque. Il club di Roma parlò dei “limiti dello sviluppo”. In Francia Ivan Illich parlò di “energia ed equità” in un suo famoso scritto apparso su Le Monde nel 1973. Illich, un ministro del culto cattolico, spiegava come un eccesso di energia disponibile fosse anche fonte di ineguaglianza sociale applicando questa sua teoria al sistema dei trasporti. In un altro scritto sulla convivialità diceva che “nessuna ipertrofia della produttività riuscirà mai a soddisfare i bisogni creati e moltiplicati a gara”. La critica alla società industriale capitalistica veniva fatta sul sistema di trasporto. Ci ricordava come con l’aumento della velocità non si guadagna tempo ma lo si perde perché si diventa parte di un sistema che è completamente integrato nell’organismo dell’industria del trasporto. L’Uomo non sa più affrontare le distanze da solo e senza mezzi meccanici si sente perso. Le conseguenze sono anche da ritrovarsi nei concetti di tempo e denaro. Il tempo, con l’aumentare della velocità è cominciato a scarseggiare.
In quel periodo la crescita della capacità produttiva veniva sostenuta tramite la creazione di nuovi e spesso introiettati bisogni che sono serviti a drogare un sistema che aveva già raggiunto il suo apice. La società industriale basata sull’economia della produzione di beni materiali iniziava a mostrare il fiato corto. Per trent’anni era stato come se le parole che Darwin stesso, ne “l’origine dell’Uomo” pubblicato nel 1871, aveva usato per spiegare come aiutassero a sfuggire ai pericoli (socievolezza, simpatia, scambievole amore), avessero preso il sopravvento. Darwin ed altri naturalisti dell’epoca individuarono la socialità come un istinto, comune agli animali e agli uomini. Un istinto necessario alla sopravvivenza della specie, in quanto parte integrante dell’istinto di conservazione. Nel dopoguerra la forza animale dell’istinto sociale aveva preso il sopravvento su quello dell’istinto personale. Questa “lezione” sociale venne compressa nei decenni a seguire e riprese forza la nozione competitiva.
La meccanizzazione della produzione, la finanziarizzazione del sistema su scala globale e l’avvento di internet hanno completato la trasformazione industriale riducendo, segmentando, destrutturando la vecchia classe operaia.
La diminuzione del numero di addetti all’interno dei comparti produttivi, figlia della tecnologizzazione e robotizzazione dei processi, ha portato ad un aumento della produttività. La riduzione del peso salariale nei costi complessivi aziendali a partire dalla fine degli anni ’70 è stata solo in piccola parte ridistribuita verso il reddito da lavoro ma indirizzata massicciamente verso l’accumulo di capitale. Un capitale utilizzato per resistere (nel migliore dei casi) o per assorbire i concorrenti in quella logica competitiva figlia ideologica del libero mercato. “All you can eat” per diventare sempre più grasso e lontano dalle reali esigenze del blocco sociale maggioritario.
L’incremento del benessere dei cittadini iniziato alla fine della seconda guerra mondiale (dopo che il Mondo aveva già vissuto lo shock della prima guerra e della crisi finanziaria del ’29) durato un trentennio (i fantastici 30) ha prodotto quelle condizioni di vita che oggi sono messe a dura prova. La classe a medio ed a basso reddito vive il depauperamento delle proprie condizioni di vita e del proprio “status sociale” conquistato nei decenni precedenti. L’incremento delle produttività, la delocalizzazione della produzione in aree del pianeta a basso salario e bassa protezione ambientale, accoppiato ad un basso costo del trasporto figlio dei bassi prezzi dei combustibili e del gigantismo navale, ha permesso al sistema produttivo di inondare il mercato dei paesi occidentali di beni “cheap”. Un’economia a basso costo, la cosiddetta Walmart economy, che concede l’illusione di rendere ancora sostenibile quello stile di vita. I beni a basso costo sono il nuovo placebo che serve a mantenere a livelli accettabili la tensione sociale.
Negli ultimi trent’anni la produzione di massa si è spostata in Asia e gran parte della crescita economica globale è andata in quei Paesi trasformando profondamente la loro economia. Oggi le vecchie aree dominanti (l’Europa del IXX secolo e l’America del nord nel XX) sono dipendenti per moltissime delle loro produzioni da quell’area che ha assunto un grande peso geopolitico. Gli scambi commerciali tra UE ed Asia superano quelli che ognuno dei due ha con gli USA e l’implementazione delle infrastrutture di collegamento tende a legare sempre di più l’Eurasia.
Non solo la produzione si è spostata in Asia ma i paesi dell’UE dipendono dall’estero anche per una serie di minerali strategici. L’informatica, le fonti rinnovabili, l’industria spaziale e della difesa, la svolta green, insomma tutti i settori ad alta innovazione tecnologica dipendono da quei minerali classificati come terre rare oltre che da rame, litio e cobalto. Mentre la Cina è il più grande esportatore del mondo di terre rare e gli USA hanno disponibilità di risorse sul loro territorio, l’UE importa l’85% del suo fabbisogno (principalmente dalla Cina).