Continua, come ogni mercoledì, il ciclo di approfondimenti e interviste della rubrica “Educazione Digitale” del Blog delle Stelle. Oggi intervistiamo Paolo Ferri, docente di Teorie e tecniche dei Nuovi Media all’università Bicocca di Milano e autore del saggio “Nativi digitali”.
• Chi sono i nativi digitali? Proviamo a spiegare ad un genitore della generazione dei “figli del libro”, come la definisce lei, le principali caratteristiche dei loro figli nativi digitali. Quali sono le differenze in termini di modalità di ragionamento, dieta mediale, prassi comunicative, ecc.?
Sono i nostri figli nati dopo che Internet è entrata nelle nostre case. In Italia sono i ragazzi nati dopo 2002/2003 e cresciuti con un device a disposizione. Non penso che i “nativi digitali” – termine coniato dal formatore statunitense Mark Prensky – siano migliori, più abili o più esperti di noi: sono semplicemente diversi. Il mondo tecno-sociale nel quale sono nati è radicalmente differente da quello dove siano nati noi. I “nativi” parlano la lingua del digitale come lingua madre e il loro modo di vedere e costruire il mondo è differente così come lo è il loro modo di comunicare ed apprendere: più ipermediale e multitasking. Abbiamo assistito all’emergere di una “singolarità” antropologica e sociale che caratterizza i nuovi esemplari di Homo sapiens digitalis. Per loro reale e digitale sono due aspetti inestricabili di un’unica realtà e comunicare con lo smartphone attraverso WhatsApp o su Instagram o Tik Tok è naturale. Stanno anche ben lontani da Facebook che vivono come il social dei loro genitori. Sono, in qualche modo, i figli Web e di Tim Berners Lee.
• L’Italia è il Paese con il tasso più alto di analfabetismo digitale in Europa, e tra i peggiori dei Paesi sviluppati. Può darci qualche dato per comprendere la dimensione del problema?
Basta prendere in considerazione il DESI (Digital Economy and Society Index), l’indice di digitalizzazione dell’economia e della società europea. Si tratta di uno strumento che monitora la competitività digitale degli Stati membri dell’UE dal 2015 e che viene misurato di anno in anno.
La posizione italiana rispetto agli altri paesi d’Europa è davvero molto infelice, ci troviamo infatti al quint’ultimo posto. Ma il dato più preoccupante è il fatto che gli altri grandi paesi europei come Spagna, Germania e Francia, oltre al Regno unito ci precedono in tutti gli indicatori. Inoltre la nostra posizione è nettamente al di sotto rispetto alla media europea. Tre persone su dieci non utilizzano ancora il Web abitualmente e più della metà della popolazione non possiede competenze digitali di base. E’ questo il dato più grave: la scarsa alfabetizzazione del nostro capitale umano che si traduce in una generalizzata mancanza di cultura digitale.
• Oggi ci troviamo in una “epoca di mezzo” nella quale i bambini imparano a scuola a usare il computer mentre i loro genitori o nonni, spesso, non sanno come approcciarsi al digitale. Quali sono le strategie più efficaci, anche già adottate in altri Paesi, per educare tutti i cittadini all’uso delle tecnologie digitali?
La scuola è certamente l’agenzia educativa che dovrebbe fornire ai bambini e ai ragazzi i principi di una cittadinanza digitale attiva, ma a livello europeo esistono linee guida condivise che identificano le competenze digitali come una delle competenze di base per tutti i cittadini adulti e per i lavoratori.
La Commissione europea possiede da tempo un quadro di riferimento di obiettivi da raggiungere rispetto a queste competenze condiviso da tutti gli Stati membri e progressivamente aggiornato tra il 2013 e il 2017: si tratta del DigiComp. Questo framework, giunto oggi alla versione 2.1, si articola in cinque aree di competenza digitale (articolate in 21 obiettivi specifici) e in otto livelli di valutazione.
Le dimensioni da misurare sono le seguenti: Informazione e data literacy; Comunicazione e collaborazione; Creazione di contenuti digitali, Sicurezza, Problem solving.
• Il problema si acuisce se pensiamo alla scuola nella quale gli adulti sono chiamati a insegnare ai più piccoli anche a utilizzare le nuove tecnologie. Come stiamo gestendo e come andrebbe, a suo parere, gestita questa situazione?
Quello che è chiaro, anche in tempi di Covid-19, è come sia assolutamente necessario colmare il digital divide della scuola italiana che l’OCSE ha stimato in più di 13 anni rispetto ai paesi più avanzati. E’ necessario, inoltre, superare le diffidenze, le ritrosie e le incomprensioni culturali che hanno caratterizzato l’applicazione del Piano Nazionale Scuola Digitale.
Il rischio è molto grande: si tratta di evitare di rendere in nostro sistema scolastico del tutto “inadatto” ai nuovi stili di apprendimento sviluppati dai nostri figli e nipoti interagendo con la tecnologia. In particolare, è necessario agire su tre nodi cruciali messi in evidenza anche dal Ministro Azzolina:
1. Il digital divide, cioè garantire a tutti l’accesso ai dispositivi hardware e alla banda larga anche alle famiglie disagiate o in difficoltà.
2.L’implementare ambienti digitali di apprendimento e cablaggio Wifi in tutte le scuole
3. Investire sulla formazione degli insegnanti alle competenze digitali come previsto dal framework europeo Digicomp.edu.
• Quali suggerimenti pratici si sente di dare ad un adulto o ad un anziano che volesse imparare a utilizzare un computer o a navigare su internet, partendo da zero?
Gli consiglierei di farsi consigliare sull’hardware da un figlio o un nipote “smanettone” e di acquistare un notebook entry level a non più 250 euro.
Di iscriversi gratuitamente a canali YouTube come quello di Salvatore Aranzulla per apprendere il funzionamento della tecnologia o di avvalersi dell’aiuto del figlio/nipote di cui sopra.
Mentre per documentarsi sulla cittadinanza digitale, consiglierei di frequentare i siti della Unione Europa sul già citato framework per Cittadinanza digitale DigiComp 2.1 tradotto meritoriamente dall’Agenzia per l’Italia Digitale.