Considerato che coloro che vanno in pensione nei prossimi 20 anni godranno di una pensione calcolata in base al metodo contributivo (la riforma Dini del ‘95 prevedeva che il retributivo restava solo per coloro che avevano almeno 18 anni di contributi al 1996) si assume che queste persone avranno meno disponibilità economica rispetto ai pensionati attuali. Un’inversione di tendenza che è oltretutto già in essere a causa del sostegno che questa grande massa di pensionati danno ai figli e nipoti (redditi medi e bassi). Una delle conseguenze sarà un più forte posizionamento territoriale.
Il loro spazio vitale fondamentale sarà il quartiere, la città. In età avanzata, e non solo, la socializzazione, il contatto fisico, l’empatia che nasce dall’interazione tra individui è fondamentale. La domanda di bisogni socio-sanitari aumenterà e dovranno essere programmate politiche per implementare l’attività fisica e la “ginnastica mentale” al fine di contenere l’incremento di spesa. Le politiche di soddisfacimento della domanda tramite la tecnologia di monitoraggio, controllo e comando da remoto necessitano di una potente formazione digitale. La fascia di età compresa tra 45-65 ovvero la fascia più rilevante dal punto di vista demografico, quella dei baby boomers, oltre che gli over 65, devono essere fortemente formati. Il grande valore aggiunto costituito da coloro che in questa fascia di età sono già abili nell’utilizzo dei sistemi digitali fa sì che la formazione non sia frontale ma circolare aumentandone di molto l’efficacia. Questo permetterà l’utilizzo efficace dei servizi socio-sanitari da remoto. Le strutture pubbliche esistenti, a partire dalle scuole, possono essere usate come punti di aggregazione per la formazione.
L’azione che lo Stato centrale e periferico deve mettere in campo è volta ad aumentare considerevolmente la possibilità di interagire con la PA da remoto via web in modo semplice ed efficace. Non è più sopportabile il forte divario che mostrano le classifiche Eurostat sulla quantità e qualità di relazione Stato-cittadino in senso digitale tra il nostro Paese con il resto dei Paesi dell’Unione.
Dal lato dei servizi che lo Stato deve garantire bisogna partire dalla trasformazione del sistema burocratico. I cittadini vogliono che i loro problemi siano risolti e per fare questo c’è bisogno di trasformare la loro volontà collettiva in azione concreta con sano pragmatismo. In questo senso è fondamentale tornare a quel “rigore morale” che avevano i padri costituenti. Certo di fronte ad una società globale così complessa, variegata, interconnessa, è fondamentale una rigorosa analisi dei dati per una giusta programmazione e pianificazione. L’azione deve tendere poi ad ottimizzare i processi per produrre soluzioni che il popolo possa misurare. Popolo che deve potersi esprimere con strumenti tecnologici per fornire feedback ai pianificatori che devono essere in grado di ritarare il processo in modo da efficientarlo. Insomma un dialogo costante per far sì che la volontà sia realmente trasformata in azione. L’azione strategica presuppone che le amministrazioni centrali ministeriali abbiano un ufficio di “analisi e soluzioni” che aiuti il decisore politico.
Uffici che analizzino dati e studino i trend e le buone pratiche presenti nel mondo per fornire scenari imparziali. Devono essere uffici elastici e composti principalmente da giovani (affamati e folli per dirlo alla Jobs) e da una parte di anziani (esperti ma entusiasti). Gruppi altamente multidisciplinari (sullo stile del MIT media lab in USA) che elaborino strategie per affrontare le crisi (sullo stile del Civil Service College di Singapore). Tutti i contributi elaborati dovranno poi convergere nel tavolo strategico dell’azione di governo. Per far sì che il lavoro sia davvero efficace gli uffici ministeriali dovranno essere tutti collocati presso un unico campus altamente connesso sia fisicamente che via web. Nel campus devono essere permesse interazioni tra uffici senza che la burocrazia ne limiti l’agilità. I componenti degli uffici devono essere individuati solo sul criterio del merito (andando oltre le classiche procedure concorsuali) con una selezione in cui tutti gli atti siano resi pubblici al fine di evitare “interferenze”. Non abbiamo bisogno di nuova burocrazia ma di strategia che si evolve su piani orizzontali.
All’interno del campus dovranno essere organizzati laboratori creativi tra componenti di uffici diversi. I laboratori permetteranno l’esaltazione di motivazioni basate su: comunicazione (interazione tra linguaggi verbali e non verbali); socializzazione (lavoro di gruppo, interazioni culturali, cooperazione, solidarietà); costruzione (apprendimento che si conquista con la fisicità e con l’osservazione diretta della realtà); fare da sé (per conquistare autonomia e autosufficienza); esplorazione (per esaltare la curiosità superando la conoscenza di base ed interagire con il comprendere, l’applicare, il metodo di investigazione, l’analizzare, il sintetizzare); fantasia (per imparare a percorrere strade ignote ma collegandole alla realtà per darle nuova forma). Da questo “laboratorio” strategico possono nascere tanti nuovi “Tecnologi dello Stato” di domani in modo che possano prendere nelle loro mani la gestione di una macchina pubblica sempre meno burocratizzata e sempre più efficiente ed efficace a rispondere alle complesse domande di buon vivere da parte dei cittadini.
È da evitare un nuovo elitarismo in cui i tecnocrati, completamente scollegati dal popolo, indirizzino le loro strategie d’azione verso direttrici che perseguano un andamento “as usual” a favore di gruppi portatori di interessi specifici. Interessi che spesso divergono dalle istanze che provengono dalla base sociale maggioritaria.
I nuovi tecnologi dello Stato, per evitare di finire nell’indifferenza verso il popolo tipico dell’élite devono essere soggetti ad una periodica valutazione dell’efficacia dell’azione da parte di cittadini che interagiscono con la pubblica amministrazione mediante i loro feedback.
Ciò che dovranno fare i tecnologi è giungere ad un efficace governance dello Stato che deve tendere al miglioramento rispetto alla fase precedente e non all’autoconservazione del potere. Il controllo popolare deve servire ad evitare che la struttura dirigenziale vada verso fini diversi da quelli dell’utilitarismo collettivo.