Space X è la prima compagnia privata ad aver trasportato astronauti della Nasa – i ‘veterani’ Bob Behnken e Doug Hurley – fino alla Stazione spaziale internazionale, ma i primati della missione spaziale le cui immagini hanno fatto il giro del mondo non si fermano qui. Nove minuti dopo il decollo, il missile Falcon 9 partito dalla rampa di lancio 39A di Cape Canaveral, in Florida, per spingere in orbita la capsula Crew Dragon con dentro gli astronauti, ha fatto ritorno atterrando sulla piattaforma galleggiante ‘Of Course I Still Love You’. Per la prima volta, dunque, il razzo propulsore “torna alla base” in modo da poter essere nuovamente utilizzato.
Nella fase sperimentale non è stato semplice ottenere che il razzo booster atterrasse sulla piattaforma in mezzo al mare, ma con il successo ottenuto nei giorni scorsi siamo ufficialmente entrati nell’era dei razzi riutilizzabili e si può ragionevolmente pensare che questi capolavori d’ingegneria non diventino mai più rottami e rifiuti subito dopo il lancio, perché non saranno più destinati a finire nell’oceano o a schiantarsi nel deserto.
L’obiettivo di Elon Musk, il magnate della tecnologia che ha fondato e gestisce SpaceX, è quello di ridurre drasticamente i costi delle missioni spaziali proprio grazie ai razzi riutilizzabili, rendendo così il più economico possibile le missioni finalizzate un giorno a portare “un milione di persone” su Marte. Per un progetto che finora è costato un miliardo di dollari il contenimento dei costi è fondamentale. Basta considerare che il razzo Falcon 9, alto 70 metri e in grado di portare in orbita un carico delle dimensioni di uno scuolabus, costa circa 62 milioni di dollari. Lo stesso Musk ha ammesso che il booster assorbe circa il 70% dei costi di lancio di SpaceX: riutilizzarlo anche una sola volta può quindi rappresentare un importante passo avanti per la sostenibilità del programma e i suoi sviluppi successivi.
E Musk ha sostenuto che un booster si potrà riutilizzare anche “dozzine di volte”. Non a caso il suo programma spaziale lavora affinché un altro razzo di Space X, il Falcon Heavy, possa avere tre nuclei di richiamo riutilizzabili, perché ciò equivarrebbe a recuperare e usare nuovamente tutte le sue parti. La prossima missione del Falcon Heavy – con un booster di nuova installazione e due laterali precedentemente usati – è prevista per questa estate in Florida, e se tutte e tre parti torneranno “sane e salve” alla base il “riuso spaziale” avrà compiuto un altro importante passo avanti. Così, il sogno visionario di una “città autosufficiente su Marte”, per realizzare il quale lo stesso Elon Musk ha parlato della necessità di ridurre enormemente il costo per tonnellata trasportata, sarà un po’ più realistico.
Certo, questo scenario porta con sé diverse questioni con le quali si dovrà fare i conti: dalle critiche sulla ulteriore privatizzazione dello spazio (oltre a Musk con SpaceX, anche Jeff Bezos con la Blue Origin investe massicciamente sui viaggi spaziali) alle enormi implicazioni ambientali che si dovranno gestire. Se è vero, infatti, che il riutilizzo dei razzi ridurrà la quantità di rifiuti e rottami in giro per il Pianeta, è altrettanto vero che SpaceX ha in programma di mettere nello spazio 25.000 satelliti e che in prospettiva viaggi spaziali con elevata frequenza potrebbero avere un peso rilevante sull’aumento delle emissioni di gas serra e degli inquinanti rilasciato in atmosfera. La rivista Smithsonian stima che ogni lancio di Falcon 9 produca circa 150 tonnellate di carbonio, per un totale di 4.000 tonnellate l’anno nel caso si arrivasse a fare un lancio ogni due settimane. Un effetto del sogno visionario da non trascurare.