Si è detto che dopo l’emergenza coronavirus nulla sarebbe stato come prima: invece è triste assistere agli stessi atteggiamenti miopi e opportunistici di politici e sindacati sulla questione Alitalia.
Dopo aver influenzato alcune assunzioni o i percorsi di carriera negli anni passati, come accaduto d’altronde in ogni società di Stato, ancora oggi in molti continuano a ritenere Alitalia una azienda che non opera sul mercato e che pertanto non debba essere lasciata libera di cercare le opportunità di profitto, al pari di tutti gli altri operatori, ma un apparato para-statale a cui tirare la giacchetta.
Confondere l’enorme, ennesimo sforzo che questo Governo sta compiendo per rilanciare Alitalia stanziando risorse pubbliche, come fosse una sovvenzione che giustifichi ogni pretesa, come se essa erogasse un servizio pubblico essenziale, è un errore in buona fede di tanti, ma certamente strumentale da parte di coloro che dovrebbero spiegare ai cittadini che il settore aereo è liberalizzato.
Volare, salvo per quei territori per cui questa attività costituisce una necessità di coesione sociale e continuità territoriale, è un servizio non paragonabile all’istruzione, alla sanità o al trasporto regionale. Bisognerebbe quindi tagliare definitivamente il cordone dell’ingerenza della politichetta di campanile nelle scelte di ricerca di remunerazione dell’azienda. E comprendere una volta per tutte che l’indirizzo politico nazionale è quello ambizioso di rendere il vettore di bandiera in grado di competere su scala globale, anche grazie al raggiungimento di una situazione finanziaria florida nei prossimi anni.
D’altronde, era già accaduto con Trenitalia e il servizio a mercato dei “Freccia”, dove la politica, nazionale e locale, purtroppo non ha avuto vergogna a chiedere “favori” di fermate e tratte a un’azienda che ripaga il servizio esclusivamente da tariffa, cioè attraverso il pagamento dei biglietti senza alcun contributo pubblico.
Se almeno tali “pressioni” e richieste fossero fatte nei confronti di tutti gli operatori, si avrebbe la parvenza di non discriminazione, invece si continua a vincolare Alitalia ad accumulare perdite.
Ve lo immaginate, un politico che imponga un prezzo o la presenza di un prodotto al supermercato? Cosa accadrebbe se si arrogasse il diritto di decidere in che zona un ristorante debba consegnare l’asporto o se una impresa di costruzione fosse vincolata a scegliere dove realizzare degli appartamenti, o a chi e a che prezzo venderli?
Allora è compito di tutti alleggerire Alitalia da ogni zavorra e dalle ingerenze della politica sull’impresa, che in tutti questi decenni hanno inquinato il rapporto tra il potere di indirizzo e quello economico.
Non voglio negare che tanti territori traggano benefici dalla presenza di voli e vettori, ma è proprio per questo che reputo illegittime e scorrette le pretese nei confronti di Alitalia. Tali sollecitazioni dovrebbero invece essere rivolte, in tutto il territorio nazionale, verso le società di gestione aeroportuale. Sarebbe utile infatti sapere se siano in atto meccanismi distorsivi: ci sono aeroporti nel nostro Paese dove la compagnia di bandiera paga per atterrare alla società aeroportuale 10-15 volte di più di quanto richiesto ad altri vettori: le tariffe di toccata sono uguali per tutti, ma ad alcuni vengono vettori viene applicato uno sconto molto superiore rispetto a quanto versa Alitalia. Questo spiega perché poi, a parità di tasso di riempimento – cioè la percentuale dei posti effettivamente occupati sul volo -, Alitalia stenti a fare utili, o sia costretta a tariffe mediamente più alte registrando pertanto tassi di riempimento minori.
Se cumuliamo questo effetto alle pressioni di alcuni politici che vogliono determinare numero dei voli, frequenze e orari, si ha una miscela che paradossalmente, proprio in quelle tratte, continua a essere foriera di perdite economiche per la compagnia e per i territori, che pagano un servizio a prezzi più alti, agevolando ancor di più gli operatori esteri.
Si smetta quindi di andare a bussare alle aziende che erogano i servizi a mercato, a prescindere dalla partecipazione del pubblico nella compagine societaria e nella composizione dell’azionariato; si smetta di imporre condizioni che comportano inevitabilmente e dolorosamente la perdita di competitività. Gli effetti nel breve periodo di tale comportamento scellerato producono conseguenze insostenibili nel medio-lungo periodo, al pari della prassi delle raccomandazioni nelle assunzioni della prima Repubblica, che hanno privilegiato il criterio “è parente di” rispetto a quello di meritocrazia e competenza. Oggi quelle logiche sono considerate largamente riprovevoli nell’opinione pubblica perché hanno impoverito le nostre aziende e portato all’estero le menti migliori.
Ribadisco che è con questi atteggiamenti che la politica alimenta la concorrenza sleale delle compagnie verso quella di bandiera, attuando pressioni indebite con l’effetto di ostacolarne il successo. Se veramente si ha a cuore lo sviluppo del territorio e contemporaneamente delle nostre aziende, si deve dare un indirizzo politico chiaro per agevolare l’accesso paritario e trasparente dei vettori, e questo compito spetta agli enti locali, ove siano presenti in parte maggioritaria nella società aereoportuale.
Fino ad allora, negli scali aeroportuali italiani, si abbia il pudore di non rimproverare ad Alitalia di operare in regime di mercato e di concorrenza, atteso che troppo spesso le condizioni economiche sono pure a suo sfavore. La politica di campanile si faccia da parte e permetta finalmente ad Alitalia di diventare forte e competitiva anche sui mercati internazionali. Altrimenti non ha senso continuare a mettere soldi pubblici in questa azienda solo per dare l’alibi ai soliti di usarla come un bancomat.