Riforma del Csm: è una riforma coraggiosa che stronca le spartizioni

Di seguito l’intervista rilasciata a Il Fatto Quotidiano dal Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. A cura di Luca De Carolis.


Le agenzie battono al ritmo delle critiche, quelle delle associazioni della magistratura alla riforma del Csm. Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede fa una pausa e risponde: “Ogni opinione è legittima, ma io chiedo a tutti di non girarsi dall’altra parte. Il cambiamento non si può più rinviare”.

Si aspettava queste reazioni?
«In queste settimane ho letto e ascoltato tutte le proposte, con attenzione. Quando le ritenevo meritevoli le trasmettevo al mio ufficio legislativo. Ma a un certo punto bisogna fare sintesi, e questa è una riforma coraggiosa. Andava fatta, perché la magistratura deve recuperare credibilità agli occhi dei cittadini».

In diversi obiettano che il nuovo sistema di elezione a doppio turno, ripartito in 19 collegi, porterà comunque ad accordi tra correnti. Possibile, no?
«Coloro che lo sostengono non lo motivano. Tutti chiedevano che l’elezione dei membri del Consiglio andasse circoscritta nei territori, e noi lo abbiamo fatto, cosicché i magistrati apprezzati a livello locale possano essere votati. In un voto nazionale, chi non apparteneva a correnti non aveva possibilità».

Ma gli scambi tra correnti si potranno sempre fare…
«Con il nuovo sistema di voto è praticamente impossibile prevedere l’esito delle votazioni. Saranno possibili fino a quattro preferenze, con obbligo di alternanza di genere e valore ponderato applicato al voto. Così si stroncano i metodi spartitori».

Meglio il sorteggio integrale, dicono alcuni. Di certo più semplice, no?
«Chi lo afferma non vuole che la riforma vada avanti. Per istituire l’elezione solo tramite sorteggio servirebbe una riforma della Costituzione, ed è evidente che non ci siano le condizioni per farla in Parlamento».

Una forma di sorteggio peraltro ci sarà, ma per l’Anm è incostituzionale.
«La riforma prevede che il numero minimo di candidati debba essere di 10 in ogni collegio, con alternanza di genere. Abbiamo previsto il sorteggio per arrivare a questa quota in caso qualcuno abbia premura di far scarseggiare candidati in base a vecchie logiche».

Sempre l’Anm la esorta a evitare “la negazione del vitale pluralismo culturale e della identità politico-amministrativa che la Costituzione assegna al Csm”.
«Il pluralismo culturale è andato a farsi benedire con il correntismo. Rispetto le associazioni dei magistrati, leggo gli atti dei loro convegni e le consulto. Ma le associazioni non possono comportarsi nel Csm come i partiti si comportano in Parlamento. Nel Consiglio superiore della magistratura non si fa politica».

Per l’Unione Camere penali però il testo consegnerà il Csm ai pubblici ministeri. Perché lei ha fatto saltare la quota di quattro pm dentro il Consiglio?
«Sa in quanti si sono presentati per quei quattro posti nella precedente elezione? Quattro, in tutta Italia. Saranno i magistrati a decidere per chi votare».

C’è lo stop alle porte girevoli tra politica e magistratura. Se eletti, non si potrà più fare il giudice o il pm. Quanti malumori ha suscitato nella maggioranza?
«È stato uno dei punti più semplici della riforma, uno dei più condivisi. Di questa norma sento parlare da quando andavo al liceo…».

L’ha fatta in solitudine?
«Ho fatto 10 o 12 riunioni di maggioranza sul testo. E mi sono avvalso della collaborazione di alcuni studiosi, i professori Renato Balduzzi, Roberto Romboli e Daniela Piana. Ho recepito molti dei loro suggerimenti e voglio ringraziarli».

Il caso Palamara le ha permesso di avviare questa riforma. Senza non avrebbe mai potuto, no?
«Il caso Palamara ha impedito di rinviare tutto a chi avrebbe avuto voglia di farlo. Non è stato più possibile buttare la palla in tribuna».

L’ex presidente dell’Anm ha indicato come testi a sua difesa magistrati e politici. Non crede che potrà creare problemi al governo?
«Assolutamente no. Non entro nel merito, perché io sono titolare del potere disciplinare. Ma le dinamiche politiche vanno distinte da quelle della magistratura».

La riforma prevede che per accedere a incarichi direttivi si debba essere in ruolo da almeno due anni. Ma non si applica a coloro già fuori ruolo. È un favore?
«No, è una scelta di politica legislativa. Per tutti i casi di incompatibilità si applicheranno norme transitorie, cioè la riforma varrà per il futuro».