Di seguito l’articolo pubblicato su Huffingtonpost.it a cura di Fabio Luppino.
Ma davvero crediamo all’Apocalisse del 14 settembre? Siamo messi davvero così male da poter dire, come fa qualche sindacato, che siamo sull’orlo di un burrone, parlando della riapertura della scuola? Ma i sindacati si ricordano l’estate scorsa e quella precedente e quelle degli ultimi vent’anni, quando la scuola arrivava al fatidico giorno senza sapere se avesse professori, Ata, presidi al loro posto? E qualcuno ricorda, presidi compresi, per quanti anni le scuole hanno aperto in deroga alle leggi sulla sicurezza (ma hanno sempre aperto e la responsabilità penale c’era anche allora)? Qualcuno lo spiegava a genitori e ragazzi? Naturalmente, no. E, infine, i tanti cantori della scuola perfetta sanno che la vita quotidiana di qualsiasi istituto esiste solo grazie al contributo volontario-obbligatorio delle famiglie e che nessuno, né tra i tanti autorevoli commentatori, né tra i politici così tanto prodighi di dichiarazioni in questi giorni si sia posto il problema ora, negli anni scorsi, nei decenni scorsi?
Ecco, allora, riportando le cose alle cose e il dibattito sulla terra. Il Covid ha imposto, giustamente, un’attenzione sulla scuola massima. La riapertura del 14 settembre è il segnale simbolico di un Paese che riprende una parvenza di normalità: la vita scolastica è il perno della vita sociale. Mai come quest’anno sono state prese decisioni, sono stati investiti soldi, sono stati fatti screening sugli istituti del Paese. Mai come quest’anno i presidi hanno lavorato, in alcuni casi, anche il giorno di ferragosto. E nessuno, dico nessun responsabile d’istituto, si presenterà il 14 settembre con la scuola fuori posto. Ha lavorato anche il ministero. Il Comitato tecnico scientifico ha prodotto un documento il 28 maggio, poi ci sono stati dei pareri il 7 luglio e il 7 agosto. Al di là del clamore dei titoli dei giornali la linea di condotta principale nelle scuole, soprattutto superiori, resta il distanziamento, il cosiddetto metro tra le rime buccali. Dà lì non si schioda, anche se il Cts deve per forza di cose garantire eccezioni, perché non siamo e non saremo mai asburgici e certamente qualcosa non sarà a posto al millimetro per il 14 settembre. E, quindi, il Cts deve dire quel che ha detto e cioè che se non dovessero esserci i banchi singoli per quella data, le aule attrezzate come si deve, etc, etc, si comincia lo stesso tenendo i ragazzi in classe con la mascherina, ma mai e poi mai il Cts ha trasformato l’eccezione in regola: fanno fede le indicazioni del 28 maggio e quelle tutte le scuole devono seguire. Il ministero della Sanità ha prodotto un protocollo. Insomma, non manca nulla.
Il Cts si riunisce il 19 agosto per ulteriormente precisare. Si sanno già obblighi e deroghe, si sa già, giustamente, come devono essere organizzate le classi, dagli asili alle superiori. Nove milioni di persone sanno e sperano che vada tutto bene (ma, ricordiamolo, lo fanno ogni anno nel disinteresse generale). Ai politici che parlano a vanvera (non solo loro) il Cts non risponda, proponendo la misurazione della temperatura all’ingresso delle scuole perché sarebbe il caos. Se la ministra Azzolina dice, misuratela a casa, viene derisa, con Salvini a tirare la fila. Ma vi immaginate cosa significhi misurare la temperatura in istituti con duemila alunni (e ce ne sono)? E poi, dove è finito il senso di responsabilità delle famiglie? Che fanno, vogliono tutto a posto e poi mandano i figli in vacanza in Croazia, a Malta, oppure ai balli assembrati in ogni parte d’Italia, prima del 16 agosto, s’intende? E poi chiedere conto, ma allo Stato, se tornano positivi, se poi diventano positivi anche i familiari? Ma a scuola, a settembre, ci deve andare la ministra Azzolina? Chiediamoci tutti cosa possiamo e dobbiamo fare per seguire quei tre minimi principi di precauzione (portare la mascherina, lavarci le mani e stare distanziati) per stare in salute.
Al raggiungimento dell’obiettivo del 14 settembre non concorre solo il ministero dell’Istruzione. Un ruolo decisivo lo hanno gli enti locali (e quindi sarebbe meglio fare che dilungarsi in inutili dichiarazioni allarmistiche in cui si perdono alcuni governatori). Grazie al Covid quest’anno si sono sbloccate situazioni incancrenite, disponibilità di aule mai viste, firme su autorizzazioni rinviate per anni senza un valido motivo. Ma tanto altro si deve fare e su questo l’opinione pubblica deve pressare e pretendere. Le Regioni, i Comuni spesso nemmeno sanno quanti spazi, ex scuole dismesse, locali in passato adibiti ad altri usi, forse in alcune grandi città qualche migliaia, possiedono. Un censimento che devono fare, se ancora non lo hanno fatto. I banchi singoli arriveranno e se non arriveranno il 14 continueranno ad arrivare e sarà nostro compito chiedere conto ad Arcuri e alla Azzolina.
L’Associazione nazionale presidi lancia allarmi sul 14 settembre, lo fa con regolarità. E’ giusto, ma bisogna ricordare che non tutti i presidi sono associati all’Anp (che ne rappresenta poco più della maggioranza) e chi sta zitto e lavora non lo fa per scarso corporativismo o mancanza di senso di responsabilità. Forse, non è d’accordo. All’allarme sulla scarsità di risorse altri replicano che le risorse sono anche troppe e non si sa come spenderle; alla richiesta di una tutela penale avanzata dal presidente Anp, Antonello Giannelli, altri ricordano che la responsabilità penale è connessa al ruolo di datore di lavoro, c’è nel profilo professionale del dirigente scolastico, Covid o non Covid (la discussione sulla modifica della norma non riguarda solo il Covid, ma la responsabilità penale nel suo complesso). Altri presidi ricordano che uno dei limiti sta nell’avere la responsabilità penale, ma di non poter disporre pienamente di locali messi a disposizione che restano di proprietà degli enti locali. Giannelli (il mandato è triennale) scade tra pochi mesi e il suo resta un incarico ambito, non solo da lui.