Con questa rubrica ogni settimana vogliamo regalarvi un estratto degli scritti di Gianroberto Casaleggio. Per ricordare parte di quel pensiero, di quelle idee che lo hanno portato a fondare il MoVimento 5 Stelle e il suo cuore pulsante: il Progetto Rousseau.
Di seguito “La caffettiera per masochisti” tratto dal suo libro “Veni, vidi, web” pubblicato nel 2015.
La caffettiera per masochisti è un “oggetto impossibile” con il manico e il beccuccio sullo stesso lato. Il caffè bollente viene versato direttamente sulla propria mano.
La caffettiera è uno dei tanti oggetti impossibili creati da Jacques Carelman, artista francese di fama mondiale. Le parole con cui definisce le sue creazioni sono: «I miei oggetti, perfettamente inutilizzabili, sono esattamente il contrario di quei gadget di cui la nostra società consumistica è ghiotta… li qualificherei come: grotteschi, assurdi, puerili, profondi, ironici.»
Tra gli oggetti impossibili di Carelman: il pianoforte economico a più elementi, che si può comprare ottava per ottava; il tandem divergente per coppie in crisi; la bicicletta convergente con tre ruote, di cui una in comune; il water closet per trampolieri; la bicicletta per salire le scale con le ruote a forma di croce; la pipa doppia per miscelare diversi aromi; la paletta per le mosche detta “la caritatevole”, con un buco al centro per dare almeno una possibilità di scampo alla mosca; la sedia a dondolo laterale detta “il rollìo”, per gli amanti del mare; il tampone assorbente concavo per asciugarsi la fronte; la clessidra per non invecchiare con ciottoli al posto dei granelli di sabbia; l’incudine da viaggio; il fazzoletto con il nodo già fatto per non dimenticarsi nulla.
Le provocazioni di Carelman rappresentano in modo estremo la realtà quotidiana, dove oggetti e informazioni ci mettono in una condizione di disagio continuo: le istruzioni delle scatole di montaggio che riescono a farci uscire dai gangheri; i telefoni multifunzionali con cui, più che telefonare, si combatte; i cartelli di evacuazione in caso di incendio che, se letti per intero, non lasciano alcuna alternativa al rogo; le penne biro che qualcuno talvolta ci presta e non riusciamo a usare (si ruotano? e in quale senso? o si premono? o si fanno scattare?); i libretti d’uso degli elettrodomestici: lavatrici, scaldabagni, lettori dvd, caldaie, frigoriferi (libretti comunque introvabili nel momento del bisogno); le indicazioni stradali che assomigliano a una caccia al tesoro, dove una località è menzionata all’inizio per poi scomparire e, se si è tenaci e fortunati, riappare su un cartello qualche chilometro più avanti; gli ingressi aziendali con le schede magnetiche che non sai mai da che lato usare; edifici con indicazioni così confuse che dopo aver vagato a lungo puoi ritrovarti ovunque, guardato con sospetto, dall’ufficio del presidente al laboratorio ricerche.
La tecnologia ha aumentato l’incomunicabilità tra i prodotti, le applicazioni e chi li utilizza.
Il paradosso della tecnologia è che, mentre semplifica la vita fornendo più funzioni a un oggetto o a un programma, allo stesso tempo lo rende più difficile da utilizzare.
La Rete amplifica il paradosso, in quanto rende la tecnologia pervasiva e accessibile a chiunque. Si è passati da applicazioni usate solo da campioni qualificati di persone, ad applicazioni accessibili a tutti: “from one to few, to one to everyone”. Le applicazioni, prima della Rete, potevano permettersi il lusso di non essere intuitive. Ora non più.
La Rete impone la semplicità d’uso, “l’usabilità”, che secondo Jeff Veen, guru dell’argomento, è “capire come le persone si comportano”.
L’usabilità prevede il disegno delle applicazioni in funzione dei modelli mentali delle persone, che Donald Norman, autore di “The Design of everyday things”, definisce come: i modelli che le persone hanno di se stesse, degli altri, del contesto e degli oggetti con cui interagiscono.
Le applicazioni di Rete devono contenere simboli univoci e visibili per le singole funzioni, evitare sequenze operative da ricordare, fare a meno di manuali di supporto, fornire un feed back alle azioni, orientare il comportamento corretto con limitazioni d’uso, avere un senso estetico.
L’accesso alla Rete deve essere semplice, intuitivo. Se è necessario fornire istruzioni d’uso, l’applicazione di Rete è destinata a fallire perché molti di coloro a cui è diretta non la useranno.
Le persone hanno spesso come modello preconcetti che è impossibile cambiare: meglio adeguare l’interfaccia applicativa che pretendere che cambino le persone. L’usabilità implica che ogni applicazione sia definita con e per l’utente finale. Implicazioni meno ovvie di quanto sembri.
In una grande banca ho partecipato a più riunioni alla definizione di un portale di accesso alle funzioni di segreteria, destinato quindi alle segretarie. Gli interlocutori per il progetto erano i responsabili dei sistemi informativi, dell’organizzazione e del personale, ma nessuno si era posto il problema di far partecipare le segretarie al progetto che le riguardava.
Un giornalista mi ha confidato che nel suo gruppo di lavoro le applicazioni di rete sono inutilizzabili perché gli utenti sono stati esclusi dalla loro definizione. “Nessuno mi ha chiesto di cosa avevo bisogno”, mi ha spiegato.
L’utente e il suo comportamento sono le chiavi per la diffusione della Rete. La tecnologia è il supporto, ma senza usabilità serve solo a riempire i magazzini delle aziende di hardware e applicazioni software, e ad allontanare le persone che, come è giusto, non hanno tempo da perdere.