Un detto cinese recita: “Quando soffia il vento del cambiamento, alcuni costruiscono muri, altri mulini a vento”. La guerra in Ucraina sta dimostrando la resilienza delle criptovalute come sistema di gestione del valore.
Da una parte il governo ucraino ha ritenuto come metodo più sicuro ricevere Bitcoin, Ethereum e Tether al posto del classico bonifico, raccogliendo nel giro di una settimana un valore pari a 50 milioni di dollari.
I vantaggi sono diversi come il fatto che non richiede di avere un sistema bancario nazionale funzionante (che ha bisogno di dipendenti che si recano al lavoro e palazzi integri), permette a chiunque di donare senza rischio di essere perseguitato (anche dalla Russia), permette di gestire transazioni (quasi) immediate. In breve è resiliente alla guerra.
Dall’altra i cittadini russi hanno visto il rublo crollare del 30% nel giro di una settimana dopo il congelamento di 600 miliardi di euro di riserve russe all’estero. Per questo motivo i cittadini russi hanno iniziato a convertire rubli in bitcoin per proteggere il valore e anche per bypassare le sanzioni e limitazioni sui pagamenti internazionali. Come conseguenza per la prima volta da sempre il Bitcoin (cresciuto del 20% in una settimana) ha superato il Rublo in capitalizzazione di circolante(14esimo posto vs 21esimo).
In risposta il governo ucraino ha richiesto ai maggiori exchange mondiali di limitare l’accesso ai cittadino russi ricevendo però risposta negativa. Se uno di questi exchange accettasse la richiesta diventerebbe di colpo non neutrale e gli utenti riverserebbero i loro valori in borsellini privati staccati dagli exchange in linea con l’idea massimalista delle criptovalute di non avere intermediari di sorta: #NYKNYC” (“not your keys, not your coins.”). Il CEO di Kraken, uno degli exchange più famosi, sembra pensare che possa accadere tramite un’imposizione degli Stati di appartenenza degli exchange.
Se accadesse il sistema delle criptovalute diventerebbe ancora più resiliente e affidabile in situazioni critiche.