Il sindaco di New York ha presentato una denuncia formale contro i cinque giganti social più diffusi nella popolazione. L’accusa è di aver consapevolmente costruito e commercializzato piattaforme per “attrarre, catturare e creare dipendenza nei giovani” incoraggiando così una crisi di salute mentale tra i minori a livello nazionale.
Ma è davvero così? In realtà, c’è molto di più.
Il nostro cervello sta subendo una vera e propria trasformazione.
Ci stiamo spostando sempre di più dall’uso dell’area dell’ippocampo (per intenderci quella parte del cervello deputata al pensiero critico e all’elaborazione intellettuale profonda) ad un’area chiamata corteccia pre frontale (finalizzata, invece, alle decisioni rapide, alla lettura per punti generali, alle attività con il pilota automatico).
Non si tratta di sensazioni, ma di un vero e proprio cambiamento cognitivo nel nostro cervello.
Scrolliamo, clicchiamo, ma non ci soffermiamo.
Cediamo profondità in cambio di velocità.
E nei processi decisionali siamo sempre più fruitori di quello che gli economisti comportamentali chiamano sistema 1 ossia quello che genera scelte inconsce, rapide, automatiche.
Questo accade perché la maggior parte dei social che usiamo sono progettati con algoritmi basati sull’IA che selezionano i contenuti che possono attirare con più probabilità la nostra attenzione. Sono disegnati per attivare i nostri impulsi, non per favorire i nostri giudizi deliberati.
Il modo per farlo è conosciuto: ci presentano informazioni e dati sfruttando un nostro limite umano – chiamato appunto bias di conferma – per il quale preferiamo e cerchiamo non quelle informazioni che ci mettono in discussione, ma quelle che ci dicono che abbiamo ragione.
E nella ricerca continua di rassicurazioni circa la correttezza della nostra (egocentrica) prospettiva sul mondo veniamo inondati da informazioni che competono per attirare la nostra attenzione e la logorano, facendo venir meno una facoltà ancora più preziosa: la focalizzazione.
Come possiamo uscirne?
Mantenendo la tecnologia, ma applicando ad esse una metodologia.
Con Camelot for Debate abbiamo progettato una piattaforma che usa l’intelligenza artificiale per rafforzare il pensiero critico, la capacità di argomentare e parlare in pubblico attraverso il dibattito regolamentato e l’esposizione a posizioni contrarie alle proprie.
L’obiettivo è costruire una architettura digitale che usi l’IA per migliorarci e non per orientarci.
La tecnologia fa parte della nostra vita e non ha alcun senso immaginare di eliminarla, va progettato un nuovo modo di fare impresa che spinga le aziende – comprese le big tech – ad avere più vantaggi nel dare valore agli utenti piuttosto che nel ritenere questi stessi come principale valore per il proprio business.